venerdì 12 ottobre 2012
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Località: Cittadella, a nord di Padova. Protagonisti: un bambino, suo padre, sua madre con zia e nonni, poliziotti, psichiatra, giudice. E ancora: garante, associazioni, televisione, internet. Un groviglio di torti e ragioni da far rizzare i capelli in capo. Ma una sola vittima accertata e sicura, al di là di ogni ragionevole dubbio: il bambino. Vittima innumerevoli volte. Vittima della separazione dei genitori. Anche la separazione più civile e amichevole, più concertata e sorridente, è sempre e comunque un trauma per i figli. Ma se la separazione è conflittuale, come è certo sia stata quella di Cittadella, la ferita al figlio è grave e sanarla del tutto può essere impresa di una vita intera. Qui le versioni, fatalmente, sono in contraddizione. La madre afferma che il padre poteva vedere il figlio come stabilito e tutto andava bene. Il padre sostiene che da mesi non poteva vedere il figlio, negato a lui e ai nonni paterni, in una sorta di "sequestro". Secondo la madre la condizione del bambino era la migliore possibile. Secondo il padre, il figlio era «alienato», ossia martellato affinché odiasse il papà. Il Tribunale dei minori gli aveva dato ragione, prendendo la grave decisione di affidargli il figlio. La madre era convinta che, se il figlio si fosse opposto con sufficiente determinazione, non gliel’avrebbero mai portato via. Il figlio intanto stava nel mezzo. No: stava sdraiato a terra, in difesa passiva, fisicamente – come nel filmato – e metaforicamente, dilaniato nel suo «conflitto di lealtà», come sempre accade quando un figlio, che amerebbe i genitori allo stesso modo, viene scelleratamente indotto a scegliere tra i due, ad amarne uno e a odiare l’altro. L’unica vera vittima del conflitto per il possesso. Lui, l’oggetto. Vittima di violenza fisica, prelevato con la forza da un luogo che riteneva sicuro, la scuola. Vittima mediatica. In palese, odiosa violazione di ogni codice e norma e tutela, il filmato è stato messo in onda – peggio: commercializzato, facendo diventare il bambino stesso una «merce», come tutto ciò che finisce in televisione farcito di pubblicità – a volte senza che il suo volto fosse oscurato, addirittura dicendone il nome. Vittima di chi ha filmato la scena e – nessun giudizio sulle sue intenzioni – ha deciso di disperderla al vento del web: nessuno sa, oggi, quanti siti l’abbiano riproposta, siti (sul nostro non lo troverete, e sapete bene perché) sui quali quelle immagini, in teoria, potrebbero restare in eterno. Vittima di chi ha deciso di diffondere il video: anche in questo caso nessun giudizio sulle intenzioni, ma sugli effetti sì: devastanti. «Sacrifici umani al dio spietato della spettacolarizzazione», è il giudizio autorevole, e del tutto condivisibile, di Roberto Natale, presidente della Fnsi (il sindacato dei giornalisti). L’unica vittima certa è lui. Ma "vittime", ciascuno a modo suo, sono tutti i protagonisti. Vittime della fine del loro amore – una fine rancorosa – i suoi genitori; vittima della gelosia possessiva del partner è sicuramente uno dei due coniugi, se non addirittura – in misura diversa – entrambi. "Vittime" del loro senso del dovere, interpretato in modo maldestro, i poliziotti. "Vittime" siamo tutti noi, che questa società del conflitto e del possesso e del rancore abbiamo contribuito a generare o non sappiamo adeguatamente contrastare, producendo anticorpi. Qualcuno saprà spiegare tutto ciò, a quel bambino quando sarà adulto? Qualcuno, qui e ora, saprà chiedergli scusa, in modo credibile?
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