Non solo «fa male». È un autentico male
martedì 26 giugno 2018

Il recente parere espresso dal Consiglio superiore di sanità contrario alla vendita della cosiddetta “cannabis leggera” (tetraidrocannabinolo a basse concentrazioni: 0,2-0,6%) continua a far discutere. Sulla pericolosità per la salute fisica e psichica (il «fare male»), in particolare dei giovani e giovanissimi consumatori di cannabis, anche di questa forma di assunzione in posologia ridotta della droga sono già intervenuti sulle colonne di “Avvenire” i medici e ricercatori Silvio Garattini e Carlo Bellieni. Al di là del danno psico-fisico, resta però la domanda morale (l’«essere un male») cui non si può sottrarre un genitore, un educatore, un pastore, un responsabile della vita civile di un popolo e, non per ultima, la coscienza di un giovane o di un adulto che si trova di fronte alla tentazione o alla decisione di assumere una sostanza stupefacente per scopo non clinico. Sul piano antropologico ed educativo, la domanda sul bene e sul male non è certo una cenerentola rispetto a quella sanitaria sul fare bene e sul fare male. Anzi, essa assume una rilevanza profonda e determinante per la libertà del soggetto in ordine alle conseguenze personali di una azione su sé stesso, sugli altri e sulla comunità umana di appartenenza.

Nell’udienza ai partecipanti alla 31esima edizione dell’International Drug Enforcement Conference che si svolse a Roma nel giugno 2014, papa Francesco così si espresse: «Il flagello della droga continua a imperversare in forme e dimensioni impressionanti, alimentato da un mercato turpe, che scavalca confini nazionali e continentali. In tal modo continua a crescere il pericolo per i giovani e gli adolescenti. Di fronte a tale fenomeno, sento il bisogno di manifestare il mio dolore e la mia preoccupazione». E aggiunse: «Vorrei dire con molta chiarezza: la droga non si vince con la droga! La droga è un male, e con il male non ci possono essere cedimenti o compromessi. [...] Le legalizzazioni delle cosiddette “droghe leggere”, anche parziali, oltre a essere quanto meno discutibili sul piano legislativo, non producono gli effetti che si erano prefisse». Concludendo, «intendo ribadire quanto già detto in altra occasione: no a ogni tipo di droga. Semplicemente. No a ogni tipo di droga». La ragione del deciso “no” di papa Bergoglio «a ogni tipo di droga» si radica nella negatività antropologica e morale che l’assunzione di stupefacenti rappresenta per la vocazione della persona all’amore autentico e alla vita come dono. San Giovanni Paolo II nel 1991 lo disse con altrettanta chiarezza: «Non si può parlare della “libertà di drogarsi” né del “diritto alla droga”, perché l’essere umano (...) non ha il diritto di danneggiare sé stesso», ma soprattutto «non può né deve mai abdicare alla dignità personale che gli viene da Dio!». Le assunzioni di droghe – proseguiva – «non solo pregiudicano il benessere fisico e psichico, ma frustrano la persona proprio nella sua capacità di comunione e di dono. Tutto ciò è particolarmente grave nel caso dei giovani. La loro, infatti, è l’età che si apre alla vita, è l’età dei grandi ideali, è la stagione dell’amore sincero e oblativo».

Nel caso dell’assunzione di cannabis, come di ogni altra sostanza stupefacente, non è questione di milligrammi o di concentrazioni, di parti anziché della dose intera. È in gioco l’intero della persona, dell’adulto come del giovane e dell’adolescente, la sua libertà in crescita, il suo cammino individuale e comunitario, il compito che esercita o che l’attende nella società. La questione ultima è il bene contrapposto al male, non ciò che fa bene o fa male. Queste due sono questioni penultime, ma non per questo irrilevanti o marginali. Ma l’ordo amoris – integrale e non frammentabile – trascende e invera ultimamente la cura della propria salute e di quella altrui.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI