venerdì 26 febbraio 2016
Corruzione, il virus in casa. La lotta sia più semplice
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Dov’è l’orgoglio della vittoria sulla corruzione? Dove sono gli anticorpi? Quelli di cui aveva parlato Raffaele Cantone a Milano, a fine ottobre, celebrando col successo dell’Expo la soddisfazione di una pubblica grande intrapresa, pulita, disincagliata dalle insidie che ne avevano intorbidato l’avvio. E il pensiero era corso, come una frecciata, al torbido ristagno che guasta altre zone d’Italia, come fossero un ventre molle. Oggi, dallo stesso cuore della "capitale morale" si propaga la parola allarmata del procuratore regionale lombardo della Corte dei Conti, Antonio Caruso, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Anche lui parla di anticorpi, e dice che ci sono; ma aggiunge che a combattere quell’infezione epidemica gli anticorpi non bastano, e che si rischia il contagio.Dunque la corruzione non batte alla porta, l’abbiamo in casa tutti. Costernati? Indignati? Il senso di vergogna ci schiaccia: nel 2015 Trasparency International (che misura l’Indice di corruzione percepita) dà all’Italia il punteggio peggiore in Europa dopo la Bulgaria. La descrizione del marciume è una cronaca ripetitiva, le zone sensibili dell’attività economica più esposta al contagio si riaffacciano di continuo, e invano fioccano riforme e riforme, e leggi e regolamenti (l’ultimo strillo è di due settimane fa, col vigore della nuova legge delega sugli appalti pubblici). Il buongusto (o il disgusto) ci suggerisce di tagliar corto con l’elenco stranoto del malaffare. La sintesi è che siamo gli ultimi della classe; e allora, vogliamo piangerci addosso (o urlarci addosso gli uni gli altri) o tentare qualche rimonta? E come si fa?Per istinto, la risposta che monta insieme alla rabbia è di tipo legale: "pene più severe". Alle solite, chi ha qualche memoria dell’italica ironia manzoniana, rammenta che le leggi diluviavano e che le pene esorbitanti ne attestavano l’impotenza. Noi ci abbiamo provato nel 2012 a far la mano pesante con la legge 91, e poi nel maggio dell’anno scorso a far la mano pesantissima con la legge 69; e di lì in poi, adesso, una bustarella può costare fino a 10 anni di carcere nei casi "ordinari", e nei casi "speciali" fino a 20 anni. E con tutto questo, l’epidemia non è cessata, e siamo ancora a chiederci come si fa a guarire. Forse gli uomini di legge, gli uomini di governo, gli uomini di potere dovrebbero riflettere su qualcosa che il popolo sa, che noi tutti sappiamo, che l’onestà non si ottiene con le minacce, ma con la coscienza. Essa è invogliata da buone leggi, buon governo, buon potere in forma di servizio. Essa è una coscienza civile, cioè uno sguardo consapevole sul male che la disonesta ricchezza procura alla società cagionandone la decomposizione. Essa è una coscienza etica, cioè l’interiore giudizio di disvalore della rottura del patto sociale e della sua regola base. E se questa pur fosse una speranza tramontata per la generazione invecchiata nella consueta putredine, non abbiamo il diritto di derubarne la nuova generazione, i ragazzi che dimostrano interesse e attenzione per il fenomeno della corruzione da cui vorrebbero liberato il loro mondo futuro, e hanno il cuore pulito e la mente sveglia: l’educazione all’onestà val più che mandare a memoria le leggi e i minacciati castighi.Infine, a qualcosa dovrebbero essere rieducati subito gli uomini che hanno le mani in pasta nel calderone delle leggi, dalla produzione alla gestione all’applicazione. Per favore, semplificate. Semplificate i percorsi tortuosi lungo i quali il cittadino onesto s’intrappola in mille gomiti e buche e inciampi e ottusità scoraggianti davanti a "pubblici ufficiali" d’infinito e vessante cavillo. Fino a desiderare, se non la disonestà, qualche italica furbizia. È già così faticoso il riscatto dalla corruzione che ci guasta la vita e da cui vogliamo liberarci, che ci sembra beffardo rammentare che le "complicazioni di legge" rendono la vita impossibile, in questi giorni anche al presidente dell’anticorruzione, che un po’ di soldi in cassa ce li ha per funzionare, ma non può spenderli nel modo necessario se nelle leggi e leggine non cambia qualcosa anche per lui.
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