giovedì 4 ottobre 2012
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Il giorno dopo il disastroso sciopero del trasporto pubblico, come al solito si cercano di chiudere le saracinesche quando ormai la situazione è sfuggita di mano. E contemporaneamente si aprono le cataratte delle polemiche. L’Autorità di garanzia sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali ha avviato un’indagine per verificare se siano state effettivamente rispettate le fasce di garanzia previste dalla legge. E minaccia sanzioni (ma arriveranno mai?).A Milano infuria invece lo scontro politico sui presunti responsabili dei disservizi, dei troppi disagi patiti e di una certa isteria collettiva che ha colpito gli utenti. Colpa dei sindacati che utilizzano ancora forme di lotta del secolo scorso, «reperti del passato da cancellare»? O dell’azienda che si è fatta trovare impreparata a gestire la situazione? Responsabilità dell’organizzazione delle aziende di trasporto, sorda alle richieste di rinnovo del contratto da ben 5 anni? O, infine, effetto dell’inerzia del governo, della politica e della stessa autorità di garanzia?Rispondere che è colpa di tutti o, meglio, che ognuno di questi soggetti porta una parte di responsabilità, è sicuramente giusto. Ma troppo facile e non sufficiente per fare un passo in avanti. È vero infatti che i sindacati faticano a immaginare il nuovo e continuano a sfruttare la rabbia della gente per fare pressione sulle controparti. Non accorgendosi che questa rabbia può facilmente volgersi contro loro stessi e vanificare pure gli obiettivi della lotta.E però occorre pure riconoscere che uno sciopero proclamato a luglio, sospeso per la pausa estiva, previsto al di fuori delle fasce orarie di garanzia non è un’astensione selvaggia (ovviamente se regole e orari sono stati poi effettivamente rispettati ovunque). Così pure appaiono reali l’incapacità dell’Atm milanese di creare un vero rapporto con l’utenza-cliente che andava informata meglio (perché, ad esempio, non inviare una mail a tutti gli abbonati?) assieme all’impotenza dell’associazione nazionale delle aziende di trasporto. Quest’ultima senza soldi, con poche prospettive e ancor meno idee su come costruire relazioni industriali positive con i lavoratori.Pensare, però, per superare tutti questi impasse, di abolire lo sciopero nel trasporto pubblico, dimenticando che si tratta di un diritto costituzionale di dignità almeno pari a quello relativo alla mobilità di tutti i cittadini, sarebbe semplicistico e sbagliato. Occorre piuttosto lavorare per irrobustire le procedure di conciliazione e raffreddamento dei conflitti prima, e innovare poi le forme di sciopero, quando questo per i sindacati si rivelasse imprescindibile. Rivedendo le fasce orarie garantite, ad esempio.Ma soprattutto con l’attuazione dello "sciopero virtuale", grazie al quale il servizio pubblico non viene interrotto e gli utenti non subiscono disagi. I dipendenti, però, pur lavorando con questa modalità perdono una parte dello stipendio come se scioperassero e l’azienda deve rinunciare a una parte dell’incasso, come se il servizio fosse stato sospeso.Somme che dovrebbero poi essere destinate a un’iniziativa socialmente utile, con beneficio quindi per tutta la società. Qualcosa di simile è già previsto in alcuni contratti nazionali, come quello degli elicotteristi dei servizi di soccorso. E non sono mancate iniziative di legge in materia in questa e nella scorsa legislatura, sia da parte del centrosinistra sia del centrodestra, che non sono però mai approdate a una votazione conclusiva.Mancano pochi mesi allo scioglimento delle Camere, ma un accordo in questo senso può essere trovato facilmente e il governo potrebbe farsene promotore. Sono soprattutto sindacati e aziende dei trasporti, però, ad avere oggi l’occasione per riscattare la loro immagine e dare nuovo impulso alla loro azione. Se il prossimo sciopero fosse virtuale e l’incasso destinato ai terremotati dell’Emilia, infatti, potrebbero mettere loro il primo mattone del nuovo Paese che vorremmo: innovativo, responsabile e solidale.
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