sabato 26 marzo 2016
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Alta più di cinque metri, la Ground Zero Cross, croce composta da due travi in acciaio affiorate dalle macerie delle torri gemelle di New York dopo l’attacco dell’undici settembre 2001, è ancora lì. Nella frenetica e distratta vita di Manhattan, a ogni ora vi è qualcuno che si ferma, attonito e silenzioso, e alzo lo sguardo verso di essa. Campeggia sul luogo del primo dei grandi attentati del secolo presente, che ha segnato l’inizio del Nouvelle Terreur, il nuovo Terrore, come lo descrive Gerald Scarfe rievocando la «stagione della morte» nella Francia di fine Settecento. Anche dopo la costruzione del Museo nazionale della Memoria, nessuno ha osato toglierla e i giudici della Corte federale hanno respinto ogni richiesta in tal senso: la croce «non è solo un segno per i cristiani – affermano – ma anche un simbolo di speranza e di ripresa per tutti». Quindici anni dopo, nel cuore del Vecchio Continente che sta rivivendo la memoria della Croce, altro sangue viene sparso da mani assassine mosse dall’odio e dalla vendetta. Se agli investigatori è lasciato il compito di rivelare il movente prossimo di questo odioso folle gesto, non ci sfugge il nesso con la settimana della Passione, che si radica nella storia religiosa e popolare dell’Europa e alimenta la fede e la speranza di milioni di suoi cittadini che celebrano la memoria dell’amore del Figlio di Dio per ogni donna e per ogni uomo, anche per chi lo ha condannato a morte violenta in croce: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». (Lc 23, 34) L’odio e la violenza, e le loro drammatiche conseguenze, sono al centro del mistero della Pasqua. La morte cui volontariamente Gesù si consegna non è quella imprevista di una malattia inguaribile, né l’epilogo naturale del corso della vita umana che egli ha condiviso. E neppure la sorte di chi si è tirato addosso la pena capitale con le proprie malefatte, come i due ladri crocifissi accanto a lui. Gesù è la vittima assolutamente innocente, l’archetipo incomparabile dell’uomo condannato a perire per vile sentenza di morte pronunciata dai suoi avversari, che facendo questo hanno creduto di dare gloria a Dio. Ogni morte porta con sé, inestirpabile, la dimensione di laidezza, perché noi siamo fatti per la vita, non per la morte. Ma quella inferta con gratuita violenza e irragionevole deliberazione contro un persone inermi e innocenti grida un perché cui non sappiamo dare alcuna risposta. Con buona pace dei pur apprezzabili sforzi intellettuali di psicologi, sociologi, storici delle civiltà e delle religioni, ed esperti di strategie militari e politiche internazionali, dobbiamo ammetterlo: alla sofferenza e alla morte per mano odiosa e violenta, ultimamente non vi è risposta che l’uomo possa darsi da solo. Il mistero del male – la sfida più potente alla ragione e alla libertà dell’uomo – il « mysterium iniquitatis », come lo chiama san Paolo, se non vuole chiudersi su un punto interrogativo, postula un punto di fuga vertiginoso, una uscita di salvezza imprevedibile eppure realmente compiutasi duemila anni fa. È la croce del Golgota: che a essere vittima innocente del male dell’uomo fosse non un altro uomo come lui, un fratello della sola carne e del solo sangue, ma un uomo che è Dio. E che ha subìto questo per strapparci tutti dalla morte senza appello, quella eterna. Privato dello sguardo al Venerdì Santo e alla Pasqua, l’orrore dei nostri occhi e dei nostri orecchi per quanto accaduto in Belgio, Turchia, Francia e altrove si chiude in uno smarrimento che ci lascia prigionieri delle nostre domande ancor più che delle nostre paure. Di fronte dell’abominio veemente di questi fatti, alla crescente minaccia della violenza terroristica, la risposta dei cristiani – la Croce – appare scandalosa agli occhi di chi cerca soluzioni pragmatiche e richiede solo interventi manu militari. Lo ammette anche lo stesso apostolo Paolo: una «stoltezza», una «follia» per molti. Ma non per quelli che in questi giorni si inginocchiano e baciano il Crocifisso nelle chiese del Belgio e d’Europa e per quanti continueranno a fermarsi di fronte alla croce di Ground Zero – e non per questo meno peccatori e più onesti degli altri – la morte violenta di Gesù ha vinto anche la violenza che la morte è sempre per l’uomo, ancor più quando causata dall’uomo stesso. « Mors ero mors tua »: morte, sarò la tua morte (liturgia della Veglia pasquale). La sola vittoria sulla cultura e sulla prassi della morte è quella della cultura e della prassi dell’amore riconquistata e donata dalla Croce.
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