Caro direttore,
abbiamo appena celebrato la Giornata della Memoria ad Auschwitz e in tutta Europa. Tante iniziative per non dimenticare. Giustissime! Profluvi di discorsi. Forse facili perché rivolti a un passato – per quanto ancora vicino – sufficientemente lontano. Ma cosa dire dei lager moderni come quelli in Libia? Cosa fare per smobilitarli? Si dice che quella volta non si sapeva, ma ora sappiamo. C’è di più: paghiamo fior di milioni, proprio noi italiani, perché li mantengano in esercizio! Ho l’impressione che – non solo in Italia – si soffra di una grave demenza senile in cui la memoria che ha lucidamente fissato il passato si dilegua nel presente. Come possiamo intervenire per eliminare l’immane sofferenza che questi luoghi infami costano a uomini, donne e bambini? Cosa fare per rendere operativa la protesta silenziosa di tanti non solo nei confronti dei lager libici ma anche di fronte a quella forma larvata di lager che dissemina per strada persone che stavano faticosamente risalendo la china? Come organizzarci per passare dalle parole ai fatti?
Luigi Di Marco
Gentile direttore
dopo aver letto diversi articoli di “Avvenire” e, in particolare, l’editoriale di Marina Corradi del 25 gennaio 2019 (l’ennesimo che lei, direttore, ha fatto scrivere o scritto direttamente), ho deciso di scriverle per chiedere aiuto. Non posso far finta di niente di fronte a questa politica che chiude porti, scuole, case ma soprattutto menti e cuori. Lancio un appello a voi, andiamo nelle piazze pacificamente per dire il nostro modo di intendere l’Italia, la nostra terra! Ho parecchi conoscenti, ma se lanciassi io l’appello ho il timore che resterebbe in una piccola cerchia. Se voi vi muoveste interpellando tutti gli organismi religiosi e no, chiedendo adesioni per dire che siamo italiani e non avalliamo l’azione del nostro governo, che non ci sentiamo rappresentati da queste azioni politiche, anzi le riteniamo ingiuste e non all’altezza del nostro popolo, probabilmente l’appello avrebbe risonanza più vasta e potremmo davvero dare voce al nostro dissenso. Io non voglio essere complice di morti, sfratti, separazioni di bambini dalle loro case ( per quanto provvisorie) e dalle loro scuole, se accadesse ai miei nipoti urlerei nelle piazze! Usando un metodo corrente direi: #iononcisto! Io non voglio essere complice di questa barbarie e soprattutto non voglio pensare, tacitando la mia coscienza, «non mi riguarda, cosa vuoi che sia, poi si sistema tutto» perché, credo, sia proprio quello che pensava la brava gente al tempo delle dittature più disumane. Muoviamoci, diciamo il nostro “basta” sia che siamo credenti o meno, parliamo del nostro futuro di quello dei nostri figli e del nostro mondo. Confido che questa mia lettera abbia un seguito, grazie.
Elena Broglia
Caro direttore,
vorrei dire pubblicamente al ministro dell’Interno Salvini che condivido pienamente l’idea che i poveri vadano “aiutati a casa loro”, cosa che peraltro viene fatta da decenni dai missionari, laici o religiosi di diverse confessioni. Mi aspetto quindi che l’attuale Governo, a differenza dei precedenti, aumenti gli stanziamenti per la Cooperazione allo sviluppo. Sono poi d’accordo sul fatto che coloro che hanno i requisiti per essere accolti da noi non debbano affidarsi ai “mercanti di uomini” ma possano contare su corridoi umanitari e ponti aerei, attività già svolta lodevolmente, seppure in scala ridotta, da alcune Associazioni e Organizzazioni non governative (Ong). Condivido le critiche agli Stati d’Europa, che spesso si disinteressano egoisticamente dei profughi e, infine, mi è facile constatare che non pochi immigrati sono dediti allo spaccio di droga: costoro meriterebbero l’immediata espulsione o pene più severe. Concludo quindi incoraggiando il ministro Salvini a perseguire con tenacia la realizzazione di questi obiettivi e la saluto... Ah, dimenticavo qualcosa: mentre ci si adopera per realizzare tali obiettivi, è comunque necessario affrontare alcuni problemi contingenti senza perdere le nostre caratteristiche di esseri umani. Non è giusto lasciar annegare centinaia di persone solo perché non hanno i documenti in regola: non è scritto così nelle leggi internazionali, non è scritto così nella coscienza degli uomini liberi. I naufraghi vanno soccorsi, non rimandati nelle mani dei loro aguzzini ma trasportati nei porti sicuri più vicini e fatti rapidamente sbarcare. Solo dopo aver compiuto il nostro dovere di esseri umani possiamo pretendere un’equa distribuzione delle persone nei Paesi europei. Sono tristissime le vicende di persone che fuggono dai loro Paesi in guerra e vagano per centinaia di chilometri attraversando deserti: quando i superstiti riescono ad arrivare in Libia vengono picchiati, derubati ed infine caricati sui barconi diretti in Italia. E quando finalmente vengono salvati dalle navi delle Ong la loro avventura non è finita perché trovano qualche politico un po’ cattivo e molto furbo che impedisce loro di sbarcare. Senza rancore, con la voce soffocata degli sconfitti, in nome dei bambini annegati, anch’io chiedo al ministro Salvini di non perseguitare ulteriormente questi disgraziati con quella disumana crudeltà che sarà grave elemento di giudizio nel giorno in cui dovrà render conto (non a me) delle sue parole e dei suoi atti.
Carlo Vallenzasca Seriate (Bg)
Gentile direttore,
problemi complessi, come può essere quello riguardante l’immigrazione si affrontano solo con una piena responsabilità. Un tempo, quando c’era di mezzo la vita delle persone, lo sforzo si moltiplicava per raggiungere una onorevole soluzione. In tempi recenti, pare che la gara per primeggiare sia nello scarto dei problemi e nella ricerca del massimo consenso. Dopo parecchi mesi di governo Cinquestelle-Lega dobbiamo purtroppo constatare che oltre a una grande confusione, che già da sola ha prodotto ingenti danni culturali e sociali, è dilagata tanta cattiveria, verbale e pratica, aumentando volutamente il clima di scontro permanente. Ben sappiamo, anche per dolorose esperienze storiche, che un clima politico come l’attuale non può favorire la giustizia economica e sociale, ma congiura a drammatizzare i contrasti, aumentare le tante forme di illegalità; creare insicurezze e paure, generare conflitti incontrollabili. È forse questa la volontà popolare degli italiani? Io mi rifiuto soltanto di pensarlo. Quindi accolgo l’invito della Chiesa cattolica, esperta in umanità, per contribuire a individuare le soluzioni contingenti ai drammi umani che si presentano, e che non possiamo fingere di ignorare. I nostri genitori e nonni hanno rischiato la vita per liberare l’Italia dal nazifascismo; abbiamo condiviso decenni di libero progresso, con un fattivo impegno per l’inclusione nel contesto sociale anche delle componenti più svantaggiate. Ora è il momento di condividere e di estendere i benefici del nostro impegno civile, culturale ed economico con alcuni immigrati provenienti dal centro Africa, dopo averlo fatto abbondantemente con persone provenienti dall’Est europeo e dall’Asia. La storia si ricorderà di noi, non tanto per le affermazioni ripetute in tv dal politico di turno, dalle quali emerge chiaramente il loro disinteresse per qualsiasi persona bisognosa di aiuto, anche se temporaneo, ma per la capacità e l’impegno nell’accogliere gli stranieri e offrire a essi una risposta umanitaria e civile. E questo anche nell’interesse del popolo italiano che, come è dimostrato dall’Istat, ha bisogno di altre energie, anche in rapporto alla componente anziana che supera e di molto quella dei giovani.
Giuseppe Delfrate Chiari
Caro direttore,
sono una mamma che ha stretto tra le braccia i suoi piccoli, li ha coccolati, ha tradotto per loro il mondo intorno, li ha spinti a esplorare, a provarci, a credere nei loro sogni. Ho la fortuna di vederli ogni giorno, i miei figli e le mie figlie. Sono una mamma e non ce la faccio più a vedere e sentir dire che non vogliamo i ragazzi migranti che bussano ai nostri porti. Io non ci sto. Non voglio essere una mamma zitta che assiste alle violenze deliberate perpetrate su quei figli e figlie che hanno lasciato le loro madri per inseguire un futuro. Abbiamo appena celebrato la Giornata della Memoria. Quante volte abbiamo letto brani o visto filmati di madri, padri, figli separati con intenzionalità e consapevolmente eliminati? Quante volte abbiamo provato uno strazio che ci ha fatto salire la lacrime agli occhi? Quante volte davanti a brutalità così atroci abbiamo avuto il desiderio impossibile di cambiare le cose? Oggi però ci siamo. Ingiustizie e violenze sono perpetrate ora, accanto a noi. Non posso stare zitta. L’indifferenza è il peccato più grave del nostro tempo. Mi hanno insegnato a voler bene alle persone, a condividere il mio pezzo di pane con chi non ne ha. I valori che respiravo nella mia Italia erano la solidarietà, l’uguaglianza, l’ospitalità. Che sta succedendo? Non siamo più umani, non siamo più capaci di amore? Giustamente ci lasciamo scuotere dal ricordo dell’Olocausto. E perché non ci facciamo scuotere dalle migliaia di morti nel mare? Impediamo l’approdo a gente salvata dal naufragio! Da sempre l’approdo sulla terra ferma è salvezza dopo la paura, respiro dopo la sensazione di soffocare, sicurezza dopo l’incertezza. Ma cosa siamo diventati? Come si fa a dire che “non c’è posto”? Mia figlia in prima elementare nel 1999 era in una classe di 28 bambini. Mio figlio in quinta oggi è in una classe di 11 bambini. In Europa siamo 500 milioni di persone. E non troviamo posto per 47 persone? Fossero anche 470! Dov’è la solidarietà, dov’è l’amore, dov’è la civiltà? A casa mia c’è posto. Non so a chi devo dirlo, ma di quei 47 migranti uno può venire a casa mia. E sono pronta a cercare altre 46 mamme. Li rimandiamo in Libia? Chiedo ai miei concittadini: avete mai parlato con uno di loro? Avete mai letto i loro racconti? Le botte, le torture, il carcere, la fame... Ci credo che dichiarano di voler piuttosto morire. Hanno 17, 20 anni. Come i miei figli. Provo a immaginarmeli, i miei ragazzi, in balia dei cattivi di oggi. È un dolore quasi insopportabile. Penso alle loro mamme. Come posso non essere solidale con loro? Anche loro li hanno stretti al petto appena nati, li hanno cresciuti e protetti per quanto hanno potuto. Io i mezzi per continuare e finire indegnamente il loro lavoro di mamma li ho. Ho una casa, un letto, cucino per uno in più, gli spiego il nostro mondo. Gli faccio vedere che non siamo tutti cattivi, qualcuno è ancora capace di amore. Chi è disponibile ad accogliere un ragazzo o una ragazza migrante mi scriva sulla pagina Facebook “47 mamme per 47 migranti” o alla mail 47mammeper47migranti@gmail.com indicando i propri contatti per poi offrire ufficialmente la nostra disponibilità al Ministero dell’Interno.
Francesca Borsani Brunate (Como)
Grazie cari amici e care amiche.
Le vostre sono lettere da un’altra Italia rispetto a quella dei porti chiusi per i migranti (irregolari) poveri e degli aeroporti aperti per i migranti (regolari o presto irregolari) un po’ più ricchi. Il turismo non si può fermare, il traffico di esseri umani non si vuole fermare. Bisognerebbe organizzare flussi regolari e sorvegliati, anche solo di lavoratori stagionali. Bisognerebbe prosciugare la sconcia palude del “lavoro nero” e a rischio. Bisognerebbe smetterla di fare accordi e patti onerosi con i capibanda che in Libia “gestiscono” i centri di detenzione e di tortura, di sfruttamento sessuale e di schiavitù che l’Onu ha definito lager «disumani» e sono complici (se non registi) anche dei viaggi della disperazione e della morte via Mediterraneo. Bisognerebbe rinunciare a usare i senza voce per le proprie propagande. E visto che i condizionali restano condizionali e non ci si preoccupa di cambiare registro, di coniugare legalità e umanità, di garantire buone e salde regole e saggia e umana comprensione, bisognerà prendersi il proprio pezzo di responsabilità. Fare ognuno la propria parte. Sempre di più e per intero, come voi stessi suggerite. Bisogna ragionare e far ragionare: interrogarsi, scrivere, documentare, interrogarsi ancora, spiegare infinite volte. Bisogna agire: soccorrere, adottare, obiettare, incontrare, pregare, manifestare, lavorare forte, tenere gli occhi aperti. Bisogna non farsi rinchiudere nel rancore... Essere civili, restare umani. E non aver timore di mostrarlo. Ai concittadini e agli stranieri venuti tra noi, gli uni e gli altri fratelli nostri.