Tre mesi si fa, in linea con la Laudato si’, si è affrontata una questione globale di vitale importanza: la difesa e la protezione della terra, la lotta contro la distruzione e l’inquinamento della natura, il cambiamento climatico, la sopravvivenza dell’umanità. E questo a partire da una regione concreta, l’Amazzonia, area determinante per il futuro della nostro pianeta, 'cuore biologico' del mondo, pars pro toto di tutta l’umanità. Si è trattato dunque di un tempo propizio, non solo per l’Amazzonia, che vive un’emergenza ecologica, umana, sociale e culturale, ma, dati i suoi risvolti planetari senza precedenti nella storia, si è trattato di un kairós anche per la Chiesa universale, non solo per quella locale.
Perché ascoltare il grido di schiavitù della natura e al tempo stesso quello dei suoi popoli minacciati che sale da questa immensa regione brutalmente violentata e sfruttata non può che riguardare anche la missione della Chiesa universale, chiamata con urgenza a interrogarsi e a intraprendere nuovi cammini di evangelizzazione e nella prospettiva di un’ecologia integrale. Temi urgenti. Perché la distruzione della foresta e la vita dei popoli che vi abitano contraddice la fede cristiana, e chiede a tutti la responsabilità di un nuovo concetto di sviluppo e di progresso. Perché l’interesse per la creazione, e dunque il rapporto dell’umanità con essa, è un’istanza di fede biblica. Perché nella Laudato si’, l’emergenza ecologica è parte della missione di liberazione integrale a cui è chiamata la Chiesa che vuole essere fedele al Vangelo.
L’Amazzonia è così entrata nella basilica di San Pietro e nell’aula sinodale le popolazioni indigene hanno espresso con grande forza e realismo le loro sofferenze e le loro speranze che sono di tutti.
Un momento del Sinodo per l'Amazzonia - Archivio Romano Siciliani
«Chiederei un favore – aveva detto papa Francesco a conclusione di quell’assemblea sinodale – «vorrei che ci si soffermasse soprattutto sulle diagnosi, che è la parte più consistente, che è la parte dove davvero il Sinodo si è espresso meglio: la diagnosi culturale, la diagnosi sociale, la diagnosi pastorale e la diagnosi ecologica». E rivolgendosi in particolare ai media chiedeva di fare questo affinché «la società si faccia carico della diagnosi che noi abbiamo fatto nelle quattro dimensioni». Nel documento finale i padri sinodali, ricordiamo, hanno in primis messo a fuoco le radici e le conseguenze della grave crisi socioambientale che investe l’Amazzonia e hanno affrontato il tema della salute integrale, facendo memoria delle idolatrie colonialiste passate e presenti e la possibilità di un cambio di paradigma per uno sviluppo ecosostenibile «per superare una cultura della irresponsabilità e non vivere da padroni ma da ospiti nel rispetto della nostra Casa comune».
Hanno fatto vedere come la grave crisi sociale e ambientale oggi dell’Amazzonia insegni a cambiare rotta. E che guardare questa realtà ci offre la possibilità di riscoprire la difesa del dono della vita. La vita umana, la vita che è lì come quella in qualsiasi altra parte del pianeta, perché non sia soggiogata al lucro e al guadagno e che dunque la sollecitudine della Chiesa non può ignorare i problemi e le sofferenze presenti e futuri provocati da quelli che usurpano, invadono, avvelenano i fiumi, distruggendo persone, culture e ambiente.
Certamente, questo sinodo ecclesiale planetario è stato un appello a tutta l’umanità a cambiare i propri comportamenti, a smettere di considerare la Terra come puro oggetto di consumo e di profitto, a non lasciarsi trascinare dall’egoismo del paradigma tecnocratico, ma a vivere una vita più sobria, solidale nel rispetto della terra, dei popoli e delle generazioni future. Il Sinodo ha chiesto alle autorità mondiali di intraprendere azioni concrete contro il cambiamento climatico e il deterioramento della casa comune.
E rivolgendosi ai credenti, ha parlato del 'peccato ecologico', quello che con l’azione o l’omissione deturpa la creazione, l’opera di Dio, e danneggia non solo i più poveri. È risultato chiaro, quindi, che nel Sinodo sono stati toccati punti nevralgici e messi in discussione gli affari miliardari di un’economia predatoria, facendoci rendere conto di quanto sia larga e profonda la voragine dei sacrifici umani e ambientali scavata dai diktat del business globale, dei potentati che sottomettono tutto al dio denaro, di una certa economia ossessionata dalla speculazione che comanda sull’umanità, incamminando tutti all’autodistruzione, a quelle latitudini come alle nostre, perché sempre più alienati dalla schiavitù dell’accumulo e del consumo. Il Sinodo ha fatto aprire gli occhi su questa realtà, quella della quale questi potentati non vogliono si prenda coscienza. E ha chiesto più coscienza, perché realtà oggettiva e vincolante.
Per questo, già nei suoi documenti preparatori, l’assemblea dei vescovi era stata messa nel mirino – anche da alcuni media che pretendono di definirsi cattolici – come eretica, panteista, sincretista. I tentativi di sviare di offuscare, di distogliere l’attenzione dalle questioni cruciali globali è stato, ed è tuttora, forte. E in questo può spiegarsi anche il motivo dell’eccessiva attenzione data dai media su punti intra-ecclesiali in funzione polemica e strumentale. A conclusione delle assise sull’Amazzonia, rivolgendosi ai media, il Papa aveva invitato a non rimanere prigionieri di schemi settari, «ha vinto questa o quell’altra sezione », e a non chiudersi su aspetti secondari intra-ecclesiali che invece sono stati puntualmente enfatizzati. Come il punto del documento finale nel quale è stata affidata al Papa la proposta di alcuni vescovi dell’Amazzonia di valutare anche la possibilità di ordinare sacerdoti diaconi permanenti sposati. Seppure, proprio nel suo discorso conclusivo, papa Francesco non aveva menzionato in alcun modo la questione dei 'viri probati', il tema dell’ordinazione di uomini sposati, e aveva ricordato invece le quattro grandi dimensioni del Sinodo.
E anche sulla recente polemica scatenatasi sul presunto cambiamento delle norme sul celibato sacerdotale basta a riguardo rileggere quanto aveva detto il Papa stesso nel dialogo avuto con i giornalisti nel gennaio dello scorso anno sul volo di ritorno da Panama. Ricordando che nella Chiesa cattolica orientale era possibile l’opzione celibataria o matrimoniale prima del diaconato, a proposito della Chiesa latina papa Francesco aveva affermato: «Mi viene in mente quella frase di San Paolo VI: 'Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato'. Mi è venuta in mente e voglio dirla, perché è una frase coraggiosa, in un momento più difficile di questo, 1968/1970... Personalmente, penso che il celibato sia un dono per la Chiesa... Io non sono d’accordo di permettere il celibato opzionale, no». Nella sua risposta aveva anche parlato della discussione tra i teologi circa la possibilità di concedere deroghe per alcune regioni sperdute, come le isole del Pacifico, precisando però che «non c’è decisione mia». Quindi aveva concluso: «La mia decisione è: celibato opzionale no. È una cosa mia, personale, io non lo farò, questo rimane chiaro. Sono uno 'chiuso'? Forse. Ma non mi sento di mettermi davanti a Dio con questa decisione».
In attesa della pubblicazione dell’esortazione papale 'Querida Amazonia', mercoledì prossimo 12 febbraio alle 13, resta dunque sempre valida la saggezza di non lasciarsi offuscare da chi usa la Chiesa in Amazzonia per altri interessi e sviare da quelle che sono le questioni cruciali e reali che toccano tutti noi per la nostra salvezza. A partire dall’invito alla conversione che si declina in quattro ambiti: ecologica, sociale, culturale e pastorale. A fondamento dei quali, come è stato sottolineato nel documento finale, c’è «l’unica conversione al Vangelo vivo, che è Gesù Cristo».