Creati più di ottant’anni fa, i Tribunali e le Procure per i minorenni rischiano la soppressione? A dire il vero, si prospetta piuttosto una loro sostituzione con organismi pur sempre 'specializzati', ma in una più vasta area di tematiche – 'persona, famiglia, minori'– e (soprattutto) non più autonomi, bensì operanti all’interno di uffici di tribunale e di procura aventi competenze e attribuzioni di carattere più generale. In questo senso va un recente voto della Commissione Giustizia della Camera su una dettagliata proposta di delega legislativa al Governo. La natura 'tecnica' dell’intervento e le sue giustificazioni in termini di razionalizzazione della spesa pubblica non devono peraltro nascondere i problemi che ne vengono coinvolti. E le preoccupazioni suscitate dalla proposta nel mondo dei magistrati minorili non possono definirsi mere espressioni di gelosie corporative. Certo, non è da oggi soltanto che si discute dell’opportunità di un riassetto della distribuzione sul territorio dei giudici e dei pubblici ministeri chiamati ad occuparsi di minorenni; e anche l’istituzione di 'tribunali della famiglia' – ai quali devolvere tutto quanto concerne i minorenni insieme alle tutele, alle separazioni, ai divorzi, già di competenza dei tribunali 'ordinari' – era da tempo tra le aspirazioni di larga parte degli stessi operatori del settore, essendo in buona misura comune il retroterra sociale che alimenta i problemi giuridici in tutti questi campi. La discussione investe dunque, non tanto il 'se', ma il 'come' di un’operazione di più o meno consistente accorpamento. Così, se l’odierno progetto avrà un seguito, sarà importante vedere quale spazio e quale ruolo continueranno a trovare, nei nuovi uffici, i giudici 'laici', vale a dire gli 'esperti' in problematiche dell’età evolutiva che ora fanno parte degli attuali tribunali minorili. Oggi, come ebbe a rilevare anche la Corte costituzionale, essi sono essenziali per dare a tali organi un 'vissuto' più autenticamente in linea con le ragioni della loro istituzione; e ciò, non tanto in quanto si carichi quei soggetti di impropri compiti istruttori ma piuttosto per l’apporto che essi recano nel partecipare, paritariamente con i 'togati', alle camere di consiglio in cui si valuta a fondo la personalità degli adolescenti e si decidono soluzioni di primaria importanza per il loro percorso esistenziale: il che, peraltro, presuppone che tali 'esperti' siano sempre scelti sulla base, non di una generica propensione al volontariato, ma di un’affidabile padronanza di conoscenze e di esperienze peculiari. Quanto, poi, ai magistrati che verrebbero a comporre le ipotizzate 'sezioni specializzate' dei tribunali distrettuali e i corrispondenti 'gruppi' delle Procure, ci si chiede se si riuscirà ad evitare il rischio di farne dei 'tappabuchi' o, se non altro, dei 'jolly' privi di specifica professionalità che solo parzialmente finirebbero per dedicarsi alle loro qualificanti funzioni, potendo essere chiamati ad occuparsi, per gran parte del loro tempo, dei compiti più eterogenei all’interno degli uffici di appartenenza. Sotto questo profilo, il progetto votato in sede parlamentare pone un robusto 'paletto' per quanto riguarda le 'sezioni' giurisdizionali, prevedendone la composizione con magistrati destinati ad esse in via 'esclusiva'; salvo errori di lettura, non mi sembra invece che la stessa cosa si configuri per i componenti degli ipotizzati 'gruppi specializzati' delle procure. In radice, c’è comunque da salvaguardare il meglio di una 'cultura' della giustizia minorile, formatasi principalmente negli anni sessanta e settanta, per merito di una generazione di magistrati che 'ci credevano' con intelligenza e convinzione. A chi ha la mia età vengono in mente nomi come quello di Uberto Radaelli, e poi di Giorgio Battistacci, Gian Paolo Meucci, Alfredo Carlo Moro, Paolo Vercellone... Solo in qualche epigono, quella 'cultura' ha potuto scivolare in un ingenuo buonismo, per lo più stimolando invece efficacemente a coniugare il fondamentale ruolo di ogni magistrato, come garante della legalità e del 'giusto processo', con un fecondo allargamento di orizzonti rispetto al tradizionale modo –tra l’autoritario e il paternalistico – di concepire il rapporto della giustizia con i minorenni, così da far sviluppare nei singoli consapevoli sensibilità per tutti i fattori idonei a influire nei modi più vari su personalità in fase evolutiva e da impegnarli a dar prova di un concreto, autentico rispetto per ognuna di tali personalità. E ne sono venute, altresì, efficaci spinte per l’introduzione di profonde novità legislative: si pensi all’istituto dell’adozione, con lo spostamento dell’attenzione dagli aspetti patrimoniali e dai desideri degli adulti alle preminenti esigenze di salvaguardia degli interessi dei bambini e dei ragazzi a una crescita serena; o alla ricezione, nel campo penale, di quello strumento di 'giustizia collaborativa' che va sotto il nome di 'messa alla prova', quale alternativa (pur non meramente indulgenziale) alla mera repressione. C’è perciò un’eredità da non disperdere, quali che siano le soluzioni organizzative più adatte alle odierne necessità di una razionalizzazione delle risorse a disposizione della macchina della giustizia.