Caro direttore,mi sta a cuore la Costituzione, che, in più punti e complessivamente nella sua ispirazione personalisticocomunitaria, porta visibile traccia del contributo di eminenti intellettuali e politici di parte cattolica. Padri nobili del cattolicesimo politico che disegnarono l’architettura di uno Stato democratico e sociale, unitario ma, insieme, proteso a rispettare e promuovere il pluralismo sociale e le autonomie territoriali. E nutro stima e amicizia per Raniero La Valle, ma non mi riesce di seguirlo sino al punto da sostenere, come egli fa in un documento da lui stilato, un no al referendum costituzionale, 'in quanto cattolico'.Io voterò No al referendum ma, per ragioni genuinamente laiche che largamente coincidono con quelle sostenute da 56 eminenti costituzionalisti, tra i quali figurano 11 presidenti emeriti della Consulta. In sintesi: una riforma votata da una ristretta maggioranza di governo (la Legge fondamentale si deve scrivere insieme); da un Parlamento legittimo, ma certo dal dubbio mandato a varare una riforma di tali proporzioni in quanto sortito da una legge elettorale bocciata dalla Corte costituzionale; che non riesce nell’obiettivo che si era proposta di disegnare un sistema dei poteri più semplice ed efficiente; che non cancella il bicameralismo ma lo ridisegna confusamente per composizione e competenze; che mortifica oltre misura il sistema delle autonomie; che non risponde a quell’equilibrio di cui si nutre il costituzionalismo democratico. Ragioni di merito, non di natura confessionale. Mi stanno troppo a cuore le distinzioni di ambiti e di responsabilità, politiche e laicali, frutto di una difficile conquista. Del resto, al par. 43 della
Centesimus Annus, così si legge: «La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell’ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale». Teniamocela stretta questa autonomia nell’elaborare mediazioni politico-istituzionali, di cui noi e solo noi portiamo responsabilità. Sia essa di stimolo a una libera riflessione e a un aperto confronto tra noi.È con questo spirito che, invece, mi sento di proporre un interrogativo. Leggo del Sì della Cisl, della Coldiretti, delle Acli, di partiti e gruppi politici di matrice popolare. E questo Sì mi sorprende. Per il metodo e per il merito. Un tempo, quelle organizzazioni avevano un culto quasi sacrale della loro autonomia dalla politica, rifiutavano ogni forma di collateralismo, praticata dalle organizzazioni di matrice socialcomunista. Ma soprattutto per il merito: difficile non rilevare nella riforma traccia di quella concezione e pratica della 'disintermediazione', che, se non erro, è l’opposto della mediazione-valorizzazione del confronto-dialogo con le espressioni dell’autonomia sociale e istituzionale, Regioni comprese; difficile non avvertire il senso di una mortificazione di rappresentanza e partecipazione in nome della cosiddetta 'democrazia decidente' incentrata su premier e governo; difficile soprattutto non provare disagio verso una corposa riscrittura della Carta a colpi di maggioranza politica che ferisce l’idea della Costituzione quale 'patto di convivenza' che tiene insieme una comunità.Ho cooperato con l’ultimo Dossetti. Non voglio coprirmi con la sua autorità. Solo suggerisco di rileggerlo e rammento che, proprio dietro la sua ispirazione, politicicostituzionalisti come Elia e Bassanini depositarono una proposta di legge costituzionale tesa ad alzare a due terzi la maggioranza necessaria a riformare la Costituzione. Proprio per impedire le riforme imposte dalla maggioranza di governo.
* Deputato del Pd