La chiamano antipolitica. E sembra esser lei, questa dama continuamente chiamata in causa da media e politici la vera protagonista del momento presente e plumbeo della vita pubblica italiana. Ne parlano, la evocano come spettro, la vezzeggiano, si dichiarano suoi devoti, ne subiscono proni le direttive e i capricci. Ma ho una brutta notizia per tutti costoro: l’antipolitica non esiste. La dama che sembra oggi aver il maggior numero di servitori e di anfitrioni è uno spettro, non esiste. Perché contro la politica non esiste l’antipolitica. E contro a un assetto di potere non esiste l’antipotere. Esistono forze politiche e di potere – ovvero interessate a esistere e contare nella polis – che si scontrano e confrontano. Con durezza e astuzia. E coloro che in buona fede, per vero disagio, pensano di essere dell’antipolitica non si accorgono di essere ancora e profondamente dentro alla politica. Ma in uno schieramento avverso a chi detiene il potere o lo deteneva (per questo c’è chi parla, piuttosto, di battaglia tra politica e contropolitica). Non esiste, insomma, nessuno scontro tra politica e antipolitica. Chi racconta questa favola mente (e magari lo sa anche). Che ci sia risentimento verso molti esponenti di una classe politica oggi in auge è evidente. E a livelli altissimi. Del resto va ricordato che l’Italia – a scorrere letteratura e arte e cinema – non è mai stata una patria di popoli amanti dei politici. Di certo tale risentimento è oggi alimentato da tanti troppi comportamenti di diversi politici, ed è pure artatamente alimentato da una classe mediatica che non certo scevra da interessi di potere. Classe mediatica, va ricordato, anch’essa non certo in buona salute, viste le crisi e le defaillances del sistema e la perdita di credibilità. Ma tale risentimento non ha senso chiamarlo antipolitica, se non per fini subdoli e vili. È invece materia per la politica, è arma politica per una dura lotta di potere. Gli italiani sono sempre stati realisti fino quasi al cinismo sulla politica. E verrebbe da aggiungere: per fortuna. Avendo una storia di dominazioni successive, siamo un popolo abituato a non confondere mai i potenti coi santi e a non idealizzare troppo i regnanti di turno. E sappiamo che ci sono sempre state forze abili a soffiare e a sfruttare tale cinico disincanto presentandosi come forze avverse alla politica in auge. Antipolitico fu Mussolini, ad esempio, ma ci sono molti casi, sia nella storia antica che nella storia unitaria (i garibaldini erano gli antipolitici di un certo momento) e anche nella storia recente in cui il potere fu preso da cosiddetti antipolitici. Per non abboccare a questo facile, consueto, gioco di potere, occorre chiedersi da dove in chi fa politica può far rinascere uno spirito forte. Che non ceda al ricatto del populismo facile e che non sia del tutto consumato e riarso in una sterile lotta di potere, o nel raggiungimento di benefici personali. Tale chiave di volta si chiama con un nome duro e umile e sfarzoso: carità. La politica è la più alta forma di carità. L’hanno detto grandi Papi, ce l’hanno insegnato. Oggi va ripetuto forte, senza pudore, questo nome sacro e mischiato con ogni polvere e disagio della storia. Non sarà certo dalla spettrale dama dell’antipolitica – fantoccio in mano a potenti avversi ad altri – che viene il rinnovamento di uno spirito politico buono. Verrà solo dalla carità, che è la virtù più nascosta e personale, e pure la più efficace pubblicamente. La più tenace. I nostri politici attuali e futuri, se vogliono avere chance di durare e di servire davvero il Paese, non seguano le sirene dello Spettro che li ricatta e stermina. Ma reimparino, con pazienza, cosa è la carità. E diano l’esempio. Il resto è solo cronaca – ormai monotona – di uno scontro di potere sempre uguale a se stesso.