«A essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: 'A me che importa?'... Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: 'A me che importa?'... Davanti a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!». Era il 13 settembre 2014 e papa Francesco attraversava la «follia» del Sacrario militare di Redipuglia.
Dopo otto anni di 'guerre a pezzi', oggi, a sei mesi dallo scoppio dell’ultima guerra – quella in Ucraina, Europa –, queste parole sono più attuali che mai. Francesco continua ad attraversare «la crudele e insensata guerra che rappresenta una sconfitta per tutti noi».
E come allora non usa mezzi termini per denunciare quanti dall’orrore ricavano profitto: «Coloro che guadagnano con il commercio delle armi sono delinquenti che ammazzano l’umanità», insistendo ancora – controcorrente – che c’è bisogno di «ripudiare» la guerra. E di fronte alla sua assuefazione, e alla piega degli eventi, continua a chiedere: «Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla?». In quasi dieci anni di pontificato, l’armamentario di papa Francesco contro la guerra e il suo totale ripudio
è stato e continua a essere un solido e lungimirante magistero, forse il più monumentale. Per il Papa della «pace attiva» il vocabolario sulla guerra è netto: «È follia», «è calamità», «ogni guerra è un incubo», «una sconfitta per tutti», un atto «crudele», «macabro», «insensato», «barbaro», «bestiale», «diabolico», «ripugnante», «sacrilego», contrario cioè alla «sacralità della vita umana, soprattutto la vita umana indifesa».
«È pazzia», come ha ripetuto più volte nel centinaio di interventi da quando è iniziato il conflitto in Ucraina, e com’è tornato a dire anche al termine dell’udienza generale di ieri: «Siano russi, siano ucraini... Penso a tanta crudeltà, a tanti innocenti che stanno pagando la pazzia, la pazzia, la pazzia di tutte le parti, perché la guerra è una pazzia. E nessuno che è in guerra può dire: 'No, io non sono pazzo'. La pazzia...». La guerra è tra la vita del mondo e quelli che vogliono accelerare la sua fine, senza trascurare i fatturati da incrementare col traffico d’armi. Ed è chiaro per il Papa che questo per primo «non può non interpellare la coscienza di ogni cristiano e di ciascuna Chiesa».
Per un motivo molto semplice: la ricerca della pace è nel dna di chi si proclama cristiano, perché la pace è il mandato di Cristo stesso, non è mai un principio astratto. Nel suo magistero Francesco ha tolto dall’obiettivo della pace l’idea della forza organizzata come sinonimo di interesse comune.
«Se si vuole un autentico sviluppo umano integrale per tutti – ha detto Francesco – occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli», poiché «come cristiani restiamo profondamente convinti che lo scopo ultimo, il più degno della persona e della comunità umana, è l’abolizione della guerra ». Per questo il Papa si impegna perché si mettano in atto vere e concrete trattative per un cessate il fuoco e per una soluzione sostenibile.
La guerra, infatti, non è mai dalla parte dell’uomo, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere: «Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio». Francesco si muove così nel solco della grande tradizione dell’insegnamento sociale della Chiesa, sviluppato in modo particolare negli ultimi due secoli, e che risale nel suo nucleo al Vangelo. Lo sguardo del Papa si muove pertanto sempre dentro i grandi orizzonti della storia e dei princì- pi di fraternità che formano le basi della dottrina sociale cristiana.
Quanto insegna è una visione che incoraggia sempre a fare il bene e a impegnarsi per la pace a partire dalla convinzione che il bene proprio si realizza nel modo migliore e duraturo dentro il bene comune, nel servire gli altri, specialmente se deboli e poveri, contrastando l’egoismo e la sete del denaro, mostrando al mondo che una via di scampo è possibile – e obbligata – per uscire dalla spirale dell’auto-annientamento messa in atto dalle agenzie economiche del terrore. Lacerata da «conflitti insensati», Francesco riconsegna così la magna carta della pace, che non è solo sintesi del suo magistero e degli orientamenti perseguiti costantemente dall’impegno e dall’azione diplomatica della Santa Sede sulla scacchiera internazionale: è lo stile della non-violenza, che è basato sul primato del diritto e della dignità di ogni persona. È questo l’instancabile servizio inscritto nel ministero del Papa per cercare soluzioni alle crisi, sul modello stesso di Cristo, principe della pace.