Caro Avvenire,
c’è una delle 'Canzoni da leggere' proposte e commentate in prima pagina da Andrea Pedrinelli per tutta l’estate che mi ha specialmente commosso. È quella intitolata 'Le vecchie'. Ho 96 anni e nella mia giovinezza ho passato lunghe ore accanto a mia nonna Peppinella, che è stata la mia prima catechista, perché quando avevo 6 o 7 anni mi spiegava le storie di Gesù, leggendole da un libro che mi affascinava: 'La storia sacra'. Da lei, che ogni giorno mi preparava per merenda pane, olio, pomodoro e sale (molto buona), ho imparato anche la sobrietà. Ricordo che un giorno le chiesi perché mi voleva tanto bene. Lei rispose: «L’amore di una nonna ascende ». Non capivo. E lei sollevò le braccia al cielo dicendo: «Vedi: l’amore di una nonna è alto, alto». Non ho mai dimenticato quelle braccia sollevate e la dolcezza del suo sguardo. Io nella mia lunga vita ho cercato di amare tutti quelli che mi sono passati accanto, con un amore che 'ascende' alla maniera della mia saggia, colta e generosa nonna, che fra poco incontrerò in cielo.
Maria Luigia - Giovinazzo (Ba)
Il verbo 'amare' è uno dei più usati a abusati oggi. Lo si usa per parlare di un flirt estivo, così come di rapporti tra uomo e donna che si risolvono in tragiche violenze. Si parla di amore dei genitori per i figli, ma anche qui, a volte, quanta possessività si nasconde sotto a quella parola. La signora Maria Luigia evoca il ricordo di una nonna dolcissima, che con un gesto spiegava di un amore che 'ascende', mira in alto. Un amare senza stringere gelosamente le braccia a trattenere l’amato, senza pretendere nulla; un amare gratuitamente, rispettando il destino cui l’altro è chiamato. È questo l’amore generoso di certi nonni, che non si dimenticano mai? Io, i miei, quasi non li ho conosciuti. Solo della nonna paterna conservo l’immagine sfocata di una piccola donna vestita di nero, con i capelli grigi stretti a crocchia. Ero troppo piccola per poterla ricordare. Ma conservo una sua foto e ogni tanto vado a riguardarla, gli zigomi forti sulla faccia da emiliana, le rughe di una donna che ha lavorato tutta la vita. Ho poi saputo, di questa mia nonna Aldobrandina, detta Dina, che veniva da una grande famiglia di contadini, nell’Appennino parmense. Terra dura, e chi emigrò in America, chi in Belgio per lavorare in miniera, e chi, come mia nonna, a Parma, per andare a servizio come cameriera. Poi incontrò un ragazzo fulvo di capelli, anarchico, una testa calda – ma quell’amore durò tutta la vita. E chissà come si intendevano quei due, lei che andava a Messa tutte le mattine alle sette, lui diventato un fervente socialista. Ebbero tre figli. Uno, mio padre, andò in Russia con gli alpini e partecipò alla Ritirata. Lei aspettava le sue lettere e pregava, pregava, ostinatamente. Non so immaginare il tuffo al cuore, quella notte che bussarono alla porta, ed era il suo ragazzo, era tornato – e non erano, dal Don, tornati in molti. Dunque io di questa nonna ho un ricordo vaghissimo, ma quando sono in difficoltà spesso la penso, e le chiedo aiuto. Voglio pensare che mi conosca e mi voglia bene, e che mi seguisse, quando ero una ragazza inquieta e difficile, con quello stesso sguardo che la lettrice ci racconta avesse sua nonna. Un amore 'alto', rispettoso e certo del destino dell’altro, sempre guardato come un figlio di Dio. Quell’amore e quella certezza che evidentemente la nonna della signora Maria Luigia le ha tramandato, vista la piana sicurezza con cui oggi lei dice: fra poco, ci rivedremo. Le auguro di continuare a camminare ancora e ancora, serena, verso l’appuntamento.