Ma come si vive senza speranza? Il nodo della storia in una pietra rovesciata
venerdì 30 marzo 2018

Caro Avvenire,

ebbene sì, immaginiamoci che non sia vero niente, che non ci sia stata nessuna Resurrezione. È stato, come dicevano del resto i farisei del tempo, tutto un inganno dei seguaci di quel Gesù. Cancelliamo tutto, i suoi insegnamenti, i suoi miracoli, sua mamma Maria, Giuseppe, duemila anni di storia di santi, di martiri, di Papi – di persone che hanno dato la vita per una cosa falsa. Non parliamo neppure di angeli, un’autentica invenzione. Ebbene abbiamo cancellato tutto, veramente tutto... E allora, cosa ci rimane? Mangiare, bere, sesso, andare a spasso, lavorare (quelli che hanno un lavoro, o che non sono già in pensione).

Francamente queste cose a me non bastano: non riuscirei a vivere senza una speranza. Vivere senza sperare che le sofferenze della vita non abbiano uno scopo, senza sperare che, dopo, potrò rivedere tutte le persone che ho conosciuto e che mi hanno solamente preceduto nel “per sempre”. Come si può vivere, pensando che tutto avrà fine? Io, più invecchio più divento felice, perché si avvicina l’ora del ritorno a casa. Gesù poco prima di morire ha detto che sarebbe andato a prepararci un posto, perché almeno non provare a credergli! Perché continuare a vivere angosciati, in attesa della fine. Se qualcuno riesce a dirmi che vantaggio c’è a vivere senza speranza, me lo dica per favore. Buona Pasqua.

Francesco Tomelleri Verona

Immaginiamoci, d’accordo: che questi giorni, di cui i cristiani fanno memoria dentro a un’ampia dimenticanza collettiva dell’origine stessa della Pasqua, siano solo una leggenda. Mettiamo per un istante che quel Gesù non fosse colui che affermava di essere, ma semplicemente un uomo, inseguito dalla vana adorazione dei suoi seguaci. Che, dunque, sia morto su una croce e non sia mai risorto, non sia mai tornato vittorioso dalla notte del Sabato. Poniamo che tutti coloro che nei secoli lo hanno seguito, santi, martiri, o anche poveri peccatori come noi, si siano illusi. Un gigantesco abbaglio nel cuore della storia. Mettiamo che sia così. Cosa ci resta? Mangiare, bere, lavorare, divertirsi, dice il signor Tomelleri. Far passare il tempo – magari anche nel migliore dei possibili modi: faticando, volendo bene al prossimo, cercando di aiutarlo. Oppure semplicemente ammazzandolo, il tempo, inanellando sempre nuovi obiettivi al nostro Io, cercando sempre diversi appagamenti. In ogni caso alla fine quel tempo, come una divinità cieca, vincerebbe: quando l’estrema vecchiaia fa piegare la testa, o un male improvviso ferma il cuore, se la Resurrezione di Cristo è solo una leggenda e noi moriamo assieme al nostro povero corpo, cosa resta?

Il ricordo di noi in chi ci ha conosciuto, finché chi ci ha conosciuto vive; nobili e ardite opere, magari, destinate quasi inevitabilmente a invecchiare; e foto che sbiadiscono, mentre il volto di chi se ne è andato sparisce come un punto che scompaia oltre l’orizzonte.

«Non riuscirei a vivere senza una speranza», afferma il lettore, e si chiede: «Come si può vivere, pensando che tutto avrà fine?». È una domanda che sta sospesa nell’aria di questi giorni di Pasqua, forse da molti inascoltata, e però cruciale. Come si fa, a vivere pensando di venire dal nulla, figlio di nessuno, come si fa a vivere pensando che i tuoi figli, che ami, siano destinati a scomparire per sempre, se appena, in una curva, un Tir sull’autostrada sbanda? È una domanda che spesso mi faccio, pensando a quanti sembrano del tutto indifferenti a quei tre giorni di martirio e tradimento e Croce, e di morte, e di sepolcro. Come si fa a non lasciarsi sopraffare dalla disperazione, se quella pietra non è rotolata, se la promessa di Cristo è solo un inganno? Magari, finché si è giovani e sani, è possibile non porsi il problema. Ma poi, nell’ora delle prove, degli abbandoni, dei lutti? E infatti, con la vecchiaia, spesso anche nei più lontani quella domanda bussa alla porta. C’è chi sorride, di questi tardivi pensamenti e ripensamenti. Ma è solo umano cercare infine, magari a tentoni, il lembo di una speranza. O forse tutto il tempo che ci è dato, gli anni, le delusioni, il passo malfermo, servono proprio a suscitare di nuovo in noi quella domanda? Che non moriamo per sempre, che non muoia per sempre chi amiamo, che la vita non finisca nel nulla.

E perché sia così, occorre che quel giorno a Gerusalemme sia andata come veramente è andata, come le donne prime testimoni e gli evangelisti, ancora colmi di stupore, hanno tramandato. Come hanno creduto e detto con la loro vita i santi e i martiri, e milioni di sconosciuti cristiani. Il nodo della storia è in una pietra di tomba opaca, massiccia, incombente. Nel silenzio di una notte – i soldati di guardia vinti da un denso irresistibile sonno – rovesciata.

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