Le grandi crisi rappresentano stress test terribilmente impegnativi che mettono alla prova e fanno saltare i punti deboli dei modelli di sviluppo e di convivenza sociale. In questa crisi da coronavirus abbiamo potuto verificare, e continuiamo a farlo, sia i limiti di capacità delle grandi strutture per l’emergenza (e dei letti di terapia intensiva) sia la loro fragilità e insufficienza. Se la sanità si fonda sul solo pilastro ospedaliero il rischio che questo finisca rapidamente sotto stress per eccesso di afflussi aumenta. I grandi ospedali finiti sotto pressione hanno svolto un lavoro eroico, ma sono purtroppo stati anche luoghi di moltiplicazione e diffusione del contagio perché, in cruciali situazioni, sono stato lasciati quasi soli (coadiuvati da scarsi presìdi di territorio) a svolgere la quotidiana battaglia contro il virus. Allo stesso modo le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) che non hanno avuto successo nell’adottare misure di contrasto al contagio sono diventate moltiplicatori di diffusione del virus concentrando dentro le loro strutture una percentuale elevatissima dei decessi totali in Italia.
Queste vicende ci suggeriscono con forza che la sanità e l’assistenza hanno bisogno di un secondo pilastro fatto di assistenza decentralizzata e diffusa sul territorio che eviti il più possibile l’intasamento del primo.
La chiave di questo secondo tipo d’intervento è la relazione fatta di cura e accompagnamento, costruita su progetti personalizzati. Gli studi sulle determinanti di soddisfazione e senso di vita sono unanimi nell’identificare nella qualità della vita di relazioni e nella generatività due dei fattori principali della fioritura della vita umana. Questi studi in fondo non fanno altro che confermare empiricamente le intuizioni dei grandi studiosi della relazionalità come Martin Buber, Paul Ricoeur ed Emmanuel Levinas. Per Buber la nostra identità si perfeziona attraverso l’incontro con un "tu" che ci riconosce e ci incoraggia, per Ricoeur si coglie riflessivamente attraverso la relazione con un altro, per Levinas l’uomo prima di essere soggetto è in relazione con altri.
Questo dato fondamentale filosofico ed empirico può e deve essere la chiave per la costruzione di proposte di Welfare più ricche e generative. Budget di salute, interventi contro la povertà educativa, patti per l’imprenditoria giovanile che rinforzino il secondo pilastro devono essere costruiti attorno alla forza creatrice delle relazioni di accompagnamento e di cura.
Per fare un esempio relativo a uno di questi tre ambiti, quello della formazione, in un libro appena uscito l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti ricorda un dato acquisito in pedagogia: il peer learning (la formazione tra pari) è una delle forme migliori di apprendimento. Gli studenti, che diventano a turno mentor di altri studenti, scoprono di apprendere di più 'insegnando' e provando ad accompagnare i loro pari. Nel campo del budget di salute esperienze pionieristiche in diverse regioni del Paese testimoniano come équipe di accompagnamento per la disabilità psichica con progetti personalizzati che reinseriscono il beneficiario in un circuito generativo attraverso esperienze di agricoltura sociale hanno notevole efficacia e riescono anche a realizzare dei risparmi di costo rispetto all’alternativa della degenza in grandi strutture. Riconoscere l’altro e il suo bisogno, prendersene cura e accompagnarlo e, ove possibile, stimolare in lui l’avvio di un percorso in cui lui stesso diventa generatore e accompagnatore è il segreto del successo dell’impegno verso gli 'ultimi' e gli 'scartati'.
In un film bello e ancora recente – 'Classe Z' – il tentativo di isolare gli studenti più difficili in una sezione a parte in modo da non rallentare il percorso dei più bravi (una sorta di bad bank scolastica) finisce paradossalmente per portare gli studenti emarginati al successo scolastico invece del fallimento. Tutto il merito va a un docente che sceglie di ascoltarli, comprendere i loro problemi, accompagnarli mettendo poi in moto meccanismi di peer learning dove gli studenti stessi smettono di essere scartati ed emarginati e ritornano generativi e protagonisti dovendosi prendere cura gli uni degli altri. Da qualunque punto partiamo per affrontare i grandi nodi e temi della vita finiamo sempre per scoprire che il segreto della loro soluzione sta nella scoperta salvifica e nell’attivazione di relazioni sane. È arrivato il momento che anche l’economia e soprattutto il Welfare faccia tesoro sempre più di questa grande verità. Tecnologia, economie di scala, efficienza sono e saranno sempre importanti per rinforzare il primo pilastro del welfare, quello della sanità ospedaliera, l’unico che può affrontare con successo la fase acuta di una malattia. Ma la costruzione di reti di cooperazione decentrate, territorialmente diffuse che attivano relazioni e fanno leva sui legami di comunità è un complemento necessario la cui grande potenza stiamo solo ora iniziando a scoprire.