L’Europa ha una nuova presidente della Commissione che vuole esercitare il suo mandato facendo tesoro del suo essere madre, medico e donna politica. Tre caratterizzazioni inedite per il capo dell’esecutivo Ue, che pone come priorità dei suoi primi 100 giorni la questione ambientale. Un’altra novità, dettata dai tempi che viviamo, ma non così scontata. E ambizioso è il programma quinquennale che la cristiano-democratica Ursula von der Leyen (VdL, come spesso sarà chiamata a motivo dell’ingombrante cognome nobiliare del marito) ha presentato per ottenere una risicata fiducia dall’Aula di Strasburgo, spaccata quasi a metà.
Un’agenda verde (con obiettivi esigenti in termini di emissioni da tagliare) e un’agenda sociale (salario minimo e garanzie sociali più estese, compresa una cassa integrazione straordinaria di fronte a choc economici) da coniugare con un piano di investimenti da mille miliardi e il rispetto delle regole finanziarie, pur con "tutta la flessibilità possibile". Ma anche il dovere di soccorrere e salvare i migranti in mare e di rafforzare l’asilo modificando gli accordi di Dublino e incentivando i canali umanitari (lei che ha accolto in casa un siriano 19enne e ne ha seguito il percorso di integrazione). Ciò dovrà avvenire in un’Europa che abbia il coraggio di affermare il proprio ruolo nel mondo e di difendere con decisione lo Stato di diritto al suo interno. Ed enfasi sulla parità di genere, lei che ha sostenuto con forza in Germania la causa femminile, con la promessa di formare una Commissione paritetica nella presenza di donne e uomini: un’altra prima volta per le istituzioni Ue.
Il discorso che ha toccato tante corde – "sorprendentemente bello e molto europeista", l’ha definito la leader verde Ska Keller pur schierata per il no – e tanti temi – incluso quello forse decisivo per il futuro dell’Unione del peso dei diversi organi nell’architettura comunitaria – era finalizzato a guadagnare il maggiore consenso tra le famiglie politiche dell’Europarlamento. Tuttavia, numerosi voti previsti sono mancati, e difficilmente potrà essere replicato al termine del mandato come bilancio dei risultati raggiunti. Ciò non toglie che si debba apprezzare l’ampiezza di orizzonte e lo sforzo di insistere sui temi sociali (manca, a dire il vero, l’emergenza demografica) e ambientali, forse gli unici in grado di mobilitare in questo momento un rinnovato euro-entusiasmo.
Von der Leyen è una donna di carattere (l’ha dimostrato ieri nelle repliche ai sovranisti), capace di crearsi consenso al di là delle stanze del potere, come ha dimostrato nella sua lunga navigazione nel governo tedesco dal 2005 a oggi, ma non sembra la personalità carismatica capace di catalizzare la spinta al rinnovamento che ha portato 200 milioni di cittadini europei alle urne lo scorso maggio, ribaltando un trend di astensione, disinteresse e scetticismo, quando non aperta ostilità, nei confronti di Bruxelles.
Figura poco nota VdL, dovrà prima farsi conoscere e, soprattutto, potrebbe scontare il fatto di avere ricevuto una investitura dai capi di Stato e governo come "seconda scelta" di compromesso, una volta che la prima intesa era saltata.
"Sarò nemica di chi vuole l’Europa debole", ha detto, ma per fronteggiare le differenti insidie portate da Russia e Cina nonché dalle mosse spesso divisive di Trump, avrà bisogno del compatto sostegno dei Paesi membri, uno scenario non proprio probabile. Pertanto, le sue promesse – e i passi concreti della Commissione – dovranno passare al vaglio del Consiglio europeo, dove le divisioni tra Stati restano forti e le linee di intesa per grandi riforme ancora lontane.
E qui entra in gioco l’Italia. I gruppi di Pd e Fi hanno dato fiducia a Von der Leyen, con convinzioni e motivazioni diverse. E M5s ha abilmente portato il suo voto favorevole (un investimento sul futuro) a un peso specifico decisivo.
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La Lega, invece, ha esitato a lungo e poi deciso di esprimere un no che spacca ancora la maggioranza di governo e frena il riavvicinamento di Roma al nucleo centrale dell’Unione, la Germania di una Merkel forse stanca e anche sofferente fisicamente ma ancora saldamente in sella e la Francia di un Macron che ha dettato parte delle priorità presentata da VdL con il suo manifesto diffuso lo scorso 5 marzo. La scelta del commissario potrebbe ora complicarsi: qualunque leghista si sieda al tavolo con Von der Leyen, sarà espressione di un partito che l’ha bocciata. Non siamo alla vigilia di una 'rivoluzione' europea.
Ma qualche margine per un cambiamento può aprirsi. Il nostro Paese avrà l’opportunità di parteciparvi attivamente, con le sue istanze, se il governo saprà resistere alla ricorrente tentazione di rovesciare, anche a parole, il tavolo. La carta sovranista – il premier Conte ne sembra consapevole e ieri l’ha ribadito criticando la Lega e garantendo appoggio alla neoeletta – non è quella giusta in un’Europa democratica e inclusiva, di pace e di valori, che in queste speciali occasioni non è solo retorica evocare.