Scorrono immagini, su internet, sulle pagine dei giornali, in televisione, il quadro della tragedia è osservato, lucidamente, passionalmente, da ogni angolo. Accade sempre così, in una società in cui la comunicazione, a volte pettegola, superficiale, insinuante, spesso è manifestazione di resistenza, informazione, appello alle coscienze, potente quanto le forze sismiche. Social, tv, giornali, radio, manifestano una magnitudo pari e forse superiore a quella avversa del 6,5 per cento. Non ci restituiscono la vita, non fanno rinascere le case, le cose con cui viviamo e che sono frutto di fatica e sede di affetti e ricordi, il letto, il tavolo, la cucina, le mura... Ma ci buttano nella realtà agonica e quindi addolorata e lottante, ci consentono e suggeriscono partecipazione. In questo fiume di immagini e parole, una domanda: ma da dove viene questa gente qui? I superstiti, i baraccati, i falcidiati dalla perdita di figli, mogli, mariti, genitori, amici? Come fanno a essere così caldi e nello stesso tempo sobri, stoici, a soffrire e controllare il dolore per resistere alla morte, alla cecità del sisma, alla faccia crudele e disperante del mistero magico del mondo? Poi il padre di Giorgia. Abbiamo visto lei, in braccio a quello che correttamente il telecronista definisce suo soccorritore, ma che noi sappiamo suo salvatore. La sua sua coda di cavallo divenuta subito simbolo di vita che continua. E il padre, intervistato subito dopo, lacrime trattenute, dolore intenso e composto, ringrazia il destino che gli ha salvato la vita della figlia. Nemmeno da operare, aggiunge. Che fortuna... Ma l’altra, suggerisce timidamente la giornalista... Purtroppo l’altra bambina... Non osa proseguire. Lui guarda, lei e tutti noi negli occhi, vediamo i suoi occhi come quando il divino possiede un uomo, un divino non antico, achillico, mosaico, un divino moderno, da post calvario, prima ancora mite e buono che potente: purtroppo lei non ce l’ha fatta, risponde. Come pensando che era giusto così, piuttosto che un’agonia e un futuro di menomazioni. Qualcuno ci protegge, lassù. 'Le protegge'. Protegge tutte e due, sta quindi inequivocabilmente sentendo. Quella che miracolosamente è stata salvata e quella che se ne è andata. Il vivo e il morto. Sono confuso, e meravigliato per come, in una tragedia e nel pianto, guardando un tg, all’improvviso ci appaia, mite e lampante, l’eroismo e la santità degli umili.