Ci sarà la fotografia di un’Italia che produce malgrado la crisi, nel 9° Censimento dell’industria e dei servizi 2011 e nel Censimento sulle istituzioni non profit, la cui conclusione è prevista per il giugno 2013. Alcuni dati 'preliminari' sul Terzo Settore costituiscono però già da ora un’occasione per qualche riflessione.Dalla lista pre-censuaria dell’Istat risultano più di 474.000 organizzazioni non profit, ovvero più del doppio rispetto a quelle censite nel 1999 (erano 235.000). Di queste il 79% sono associazioni, il 4% cooperative sociali, il 3% organizzazioni di volontariato e, con la stessa percentuale, istituzioni di rappresentanza. Si tratta di una base frammentata, pulviscolare, fatta di alcuni grandi enti e di tantissimi piccoli soggetti. Forse è meglio definirla 'multiforme'. Perché è multiforme la posizione umana di fronte alle sollecitazioni delle circostanze, soprattutto di crisi.Ce ne dà un esempio straordinario Manzoni, nei Promessi Sposi, quando descrive il cardinal Federico Borromeo di fronte alla carestia a Milano: «Quella carità ardente e versatile doveva tutto sentire, in tutto adoprarsi, accorrere dove non aveva potuto prevenire, prender, per dir così, tante forme in quante variava il bisogno». Multiformi sono infatti i bisogni e le richieste della popolazione che sono cresciute in questi anni di evidente crisi economica.Proprio la capacità operativa dimostrata dall’economia sociale non profit, la sua presenza capillare nei territori, ha sicuramente molto contribuito a confermare l’elevata fiducia che gli italiani hanno in essa. Infatti, secondo una recente indagine Cnel-Censis oltre l’85% degli italiani dichiara di avere fiducia nell’associazionismo sociale e nel volontariato. Inoltre, l’Italia è il Paese della Ue dove si registra la più alta quota di cittadini impegnata in iniziative di lotta alla povertà. In questo senso il non profit, ovvero quell’universo vario di persone e di esperienze che decidono di mettersi insieme per rispondere ai bisogni propri e di altri, costituisce una componente, non solo che cresce, ma che fa crescere tutto il Paese. Tuttavia, proprio la discussione politica sulla 'crescita' nasconde un pesante equivoco.Si può intendere la crescita come un qualcosa di centralizzato che è diretto dall’alto verso il basso, dal centro alla periferia; oppure all’opposto si può pensare che compito dei governi per promuovere la crescita sia quello di rimuovere gli ostacoli, 'i lacci e i lacciuoli' che impediscono alle energie e ai talenti di cui il Paese è pieno di esprimersi. Il Terzo Settore che è un vantaggio competitivo del nostro Paese, anche per la sua natura 'multiforme', ha sicuramente bisogno della seconda strada: rimuovere gli ostacoli. Nel passaggio da un welfare state a un welfare sussidiario occorre che i governi e le istituzioni sappiano guardare a quello che avviene dal basso, nei territori e nei Comuni italiani. E sappiano guardare con simpatia alla capacità di autoorganizzazione sociale di tutto il non profit. Il cambiamento viene dal basso, dalla capacità di saper rispondere puntualmente ai nuovi bisogni che emergono. E in questo il Terzo Settore italiano, che in questi anni di crisi ha creato più posti di lavoro di altri settori del privato profit e del pubblico, potrà giocare un ruolo sempre più significativo e qualificato. Infatti, in un’ottica di sussidiarietà reale, grandi appaiono un po’ in tutto il mondo le potenzialità di crescita del Terzo Settore proprio per quella capacità 'multiforme' tipica di un’umanità all’opera.