Personale sanitario del San Luca di Milano, ospedale che fa capo alla Fondazione Auxologico - Udb
Capita di frequente che le analisi sulla situazione attuale del nostro sistema sanitario e sulle prospettive future si concentrino nel mettere in evidenza, da una parte, il sotto finanziamento complessivo del sistema, dall’altra – come diretta conseguenza - il progressivo decadere dell’Italia nella classifica dei Paesi con le migliori sanità. Parrebbe che il problema si possa risolvere in modo tutto sommato semplice, riportando le risorse economiche per la sanità a più favorevoli valori raggiunti nel passato (percentuale sul valore del Pil – prodotto interno lordo) da qualche governo di colore politico differente secondo l’interlocutore. Altri suggeriscono una azione di “copia e incolla” con un presunto migliore e più lungimirante Paese europeo che ha destinato qualche punto percentuale in più del Pil.
Questo modo di pensare si fonda su un assunto diffuso, almeno tra noi italiani, cioè che il nostro sistema sanitario è (era) il migliore del mondo. Probabilmente lo è o lo è stato: sicuramente era ed è un buon sistema sanitario. Ma in tanti decenni non ho mai compreso fino in fondo i criteri di valutazione e la oggettività di questo orgoglio italico, tenuto conto che celebrazioni simili sono altrettanto diffuse tra gli svedesi, i francesi, gli spagnoli, i tedeschi, i neozelandesi, che ritengono tutti il proprio sistema sanitario migliore degli altri. Altra considerazione ricorrente, quasi un dogma, è che un Paese, per essere al “top” deve avere innanzitutto e prima di tutto un sistema sanitario al “top”. Sicuramente questa considerazione è apprezzabile e condivisibile: ma siamo veramente sicuri nell’assolutizzarla?
Se allarghiamo lo sguardo, magari anche appena oltre i nostri confini, potremmo accorgerci che è altrettanto importante e fondamentale vivere in un sistema sociale più equo con, ad esempio, la possibilità di accedere ad un lavoro decorosamente pagato per tutti; comprenderemmo anche che accedere a una istruzione adeguata è parimenti presupposto di crescita culturale, economica e sociale; apprezzeremmo forse come un equo sistema pensionistico, programmi di aiuto alla famiglia ed alla natalità e la propensione alla tutela dell’ambiente siano altrettanto importanti per essere un Paese al “top”, al pari di un ottimo sistema sanitario. Una scelta politica che destinasse molte più risorse al servizio sanitario, senza troppo discutere sulla fattibilità tecnica di tale operazione, è dai più considerata la cura risolutiva, che ristorerebbe il nostro affaticato sistema sanitario, rinvigorendolo per affrontare le sfide del futuro
Ma siamo veramente sicuri che con molti soldi in più e qualche ritocco organizzativo in stile esterofilo risolveremmo i problemi attuali e futuri del servizio sanitario? Io nutro perplessità a ridurre prioritariamente al fattore economico la programmazione ed il futuro del nostro sistema sanitario, così come cercare in modelli “stranieri” la soluzione, avendo peraltro conoscenze superficiali dei predetti modelli che nascono in contesti sociali, economici e culturali diversi da quello italiano. Non ho la presunzione di avere la soluzione. Quello che porto a discussione è una delle tante voci di chi lavora, in prima linea, nel settore della cura e della ricerca medica. Una voce convinta che un sistema organizzato per garantire la salute dei cittadini deve assumere la vita della persona come valore primo, assoluto ed imprescindibile, determinante di ogni scelta politica, tecnica, economica ed etica.
Un sistema sanitario per la salute si fonda sulla vita della persona, nella sua unicità e specificità, ma anche nelle sue espressioni di socialità, soggetto di relazioni familiari e parte della società. La salute è espressione di vita al pari della malattia: la persona è tale sia nella salute sia nella malattia, e la malattia non può mai qualificare una persona, che rimane sempre tale nonostante la malattia che la affligge. Il cardinale Martini diceva che la salute è il silenzio del corpo: quando il corpo si fa sentire, con il dolore, con la menomazione la salute ne è inficiata e con essa la persona. La nostra Costituzione fa da baluardo a garanzia della vita e della persona, in quanto tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, garantendo cure alle persone, gratuite per gli indigenti. Occorre oggi interrogarsi non tanto sul principio costituzionale, assoluto, ma sulla sua reale e concreta attuazione, in particolare nel futuro.
Una riflessione va fatta sulla equazione tra bisogni di salute e risorse a disposizione. Mai come nei tempi recenti le conoscenze mediche si sono ampliate, spinte dal progresso tecnologico che sembra inarrestabile, rendendo guaribili (rectius: trattabili) patologie prima con poche o nulle possibilità di cura, ingenerando così nuovi bisogni ed aspettative. La diffusione della cultura della prevenzione, anche se non sempre è facile accedervi tramite il servizio sanitario, ha contribuito ad intercettare in fase iniziale molte gravi malattie, sconfiggerle e in massima parte cronicizzarle, ingenerando altrettanti nuovi bisogni. La speranza di vita, cresciuta senza sosta negli anni, ci ha portato, in assenza di una altrettanta forte spinta delle natalità, ad avere una popolazione sempre più anziana che esprime nuovi e maggiori bisogni.
I nuovi bisogni in sanità sono allo stesso tempo un problema, ma anche e soprattutto una infinita ricchezza che ci offre la opportunità di riflettere sul senso e valore della vita e della persona che la incarna. Nuovi bisogni significano ulteriori percorsi terapeutici, farmaci di nuova generazione - spesso molto costosi - che ci accompagneranno per tutta la vita, apparecchiature di diagnosi e di cura che rapidamente diventano obsolete, ricorso alla medicina predittiva che suggerisce di intervenire ancor prima dell’esordio della malattia. A fronte di una crescita tendenzialmente infinita dei bisogni e della domanda di salute, può un sistema sanitario avere gli strumenti organizzativi, tecnici ed in ultima analisi anche economici per dare delle risposte efficaci? Questo è il nucleo del problema: trovare una nuova equazione tra bisogni di salute (infiniti), risorse - non solo economiche -(limitate) e valore della persona e della vita (assoluto): in altre parole un equilibrio tra etica, risorse e sanità.
Sicuramente in tutti i sistemi sanitari -e quello italiano non fa eccezione - c’è da affinare meglio l’efficienza, la appropriatezza, la riduzione degli sprechi. Ma, purtroppo, alla fine di questo percorso virtuoso non si raggiungerà, come in un calcolo matematico, l’equazione tra bisogni, risorse e valore della vita. Chi pensa di costruire il futuro di un servizio sanitario prioritariamente rincorrendo l’efficienza, ovvero replicando modelli mutuati da altri Paesi, ovvero ancora aumentando all’infinito le risorse economiche, è destinato non solo a fallire, ma avrà anche la colpa di avere nascosto ai cittadini la realtà di un problema vitale, che riguarda appunto la vita di ciascuno di noi.
Non mi è facile immaginare un Presidente del Consiglio o un Ministro della Sanità che affronti un discorso davanti alla nazione sul presupposto che le risorse non sono sufficienti per soddisfare tutti i bisogni di salute, oppure argomentando che l’enunciato costituzionale del diritto individuale alla salute non significa cure gratuite per tutti ma solo per gli indigenti (come prevede la Costituzione) e che allora occorre decidere chi paga e chi non paga, non le tasse (che sarebbe cosa più semplice) ma le cure sanitarie.
Il dato reale è che un numero sempre crescente di persone stanno sperimentando sulla propria vita la disparità tra bisogni di salute e capacità di soddisfarli, con punte diversificate tra Nord e Sud, con percezione differente tra chi è povero e chi lo è ancora di più, tra persone che hanno un retroterra culturale per capire cosa sta succedendo e quelle che purtroppo subiscono passivamente la situazione. Ed allora cosa fare? Dirottare tutte le risorse del bilancio dello Stato sul sistema sanitario, a discapito di altri importanti settori? Discutere se sono più importanti le scuole, le pensioni, le forze dell’ordine o la cultura? Che modello introdurre? Uno dei tanti modelli stranieri, magari poco conosciuto e quindi meglio plasmabile alla volontà politica? Chi aspettare? Che cosa sperare?
Non c’è una risposta pre-confezionata perché la soluzione alla equazione tra bisogni sanitari e risorse va costruita in un processo condiviso tra politica e società, dove anche la Chiesa dovrà declinare secondo i nuovi tempi il valore assoluto della vita, il significato della malattia e della cura, il passaggio tra la vita terrena e la vita eterna nel quale anche agli uomini è stato dato di intervenire con la cura.
Mario Colombo è presidente Istituto Auxologico Italiano