Purtroppo è successo ancora, e ancora avverrà. È solo questione di tempo. Le cronache del Mediterraneo ci raccontano di un’altra tragedia del mare occorsa a un gruppo di migranti, questa volta di nazionalità somala. Domenica scorsa, dopo che Marina militare e Guardia costiera italiana hanno soccorso un’imbarcazione in difficoltà, i superstiti, riferivano le agenzie di stampa, «apparsi profondamente prostrati e in pessime condizioni di salute, hanno raccontato che tre donne sarebbero morte di stenti durante il viaggio, durato cinque giorni, e i loro corpi sarebbero stati abbandonati in mare». Punto.Di queste tre donne non sappiamo nulla: non un nome, non una storia, non un volto. E neppure di un solo corpo è rimasto traccia. Di loro ci restano solo delle parole, quelle dei compagni di viaggio, quelle che ci raccontano il dramma di un’avventura della speranza finita male sulla rotta 0.05 gradi nord, nel Canale di Sicilia. Anche dei sogni che portavano nel cuore non sapremo più nulla. Punto.Della loro esistenza di donne – forse anche di madri in attesa, come succede spesso di trovare su molte carrette del mare – adesso non resta che qualche parola sulle agenzie di stampa, senza una dimensione, senza una tridimensionalità che di quel lutto ci sappia trasmettere qualcosa che lasci davvero traccia, che faccia breccia nella nostra quotidiana distrazione, qualcosa da poter toccare e sentire vicino, come il respiro sulla pelle. Insomma, vite come un foglio di carta strappato dal vento e scaraventato lontano dai nostri occhi e dai nostri sensi. Senza un grido alto nel cielo a scardinarci dal nostro torpore, senza indignazione per i mercanti di morte, al massimo un titolo nelle pagine di cronaca che domani i più avranno già dimenticato. Il Mediterraneo è profondo e nei suoi abissi si può scomparire per sempre, come è accaduto tante, troppe volte, quando questo "nostro mare" ha inghiottito grandi e piccoli, donne incinte e neonati. Scarti umani, cancellati da un mondo che fa sempre più presto a dimenticarsi degli ultimi, dove prevale sempre più quella globalizzazione dell’indifferenza denunciata proprio a Lampedusa pochi giorni fa da papa Francesco. Queste tre donne somale senza nome, le ultime cadute affrontando il martirio sul funesto sentiero di mare che lambisce le nostre coste d’Italia, le immaginiamo cancellate per sempre dalla terra, i corpi annientati dalla fatica e dalla sete. Ma le vediamo anche parte di quella miseria da storie di periferia che non riescono a fare rumore, che non riescono ad avere voce e che lasciamo precipitare nei sotterranei del nostro cuore. Ci scopriamo così sempre più anestetizzati davanti alle notizie di morte del Mediterraneo, derubricate ormai a cronache di serie B, cronache di un mondo minore, un mondo di ombre senza nomi.Ma la vicenda umana di quelle tre donne somale, forse, sottolinea qualcosa di ancora più triste, per noi. Di loro, che hanno ricevuto in sorte quell’aggettivo di «abbandonate», espressione morbida, al posto della più brutale «gettate» in mare, la sostanza della storia non cambia: lasciate sole, per sempre, da tutti noi. Punto.