giovedì 13 ottobre 2016
​Amore e perdono trasformano le persone. Lo dimostra una ricerca dell'Università Cattolica su carcerati, ex tossicodipendenti e bambini in stato di bisogno. (Mario A. Maggioni)
 La misericordia fa miracoli. Ecco come
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L’amore, il perdono e la misericordia fanno miracoli. Cambiano in meglio le persone e il mondo. Lo sappiamo da tempo, ma ora è stato anche misurato e dimostrato scientificamente. A metterlo in luce è uno studio del Cscc (Centro di ricerca in Scienze Cognitive e della Comunicazione), dell’Università Cattolica che ha misurato, con gli strumenti metodologici dell’economia comportamentale, l’effetto trasformativo del perdono e della misericordia sulla vita delle persone. Essere oggetto di cura e di relazione cambia il proprio atteggiamento verso la realtà anche nelle situazioni più marginali: lo si è visto su tossicodipendenti in comunità di recupero; pluriomicidi nei carceri di massima sicurezza in California che frequentano il programma riabilitativo 'Grip' di Insight-Out; bambini della Repubblica Democratica del Congo con accesso difficoltoso all’istruzione primaria, aiutati dal programma Sostegno a Distanza di Avsi. Sono questi i tre casi di cui si è occupata la ricerca, che è partita grazie a un finanziamento ottenuto cinque anni fa da una fondazione americana, il Fetzer Institute, ed è proseguita grazie ad un finanziamento competitivo Universitario (Progetti di Ricerca di Interesse di Ateno, D.3.2).Se da un lato amore e perdono sono due termini di cui gli economisti non si occupano (una ricerca bibliografica su Econlit – il più ampio database accademico in materia – evidenzia che su oltre un milione di articoli economici solo 242 contengono la parola 'amore' e ancor meno, 46, la parola 'perdono') dall’altro è evidente come non sia possibile intraprendere alcuna azione economica senza tenerli presenti e metterli in pratica. Se una persona non ha passione per quello che sta facendo non potrebbe mai avviare un’impresa. E una volta che si sta facendo qualcosa con altri, se non si è capaci di perdonare e di chiedere di essere perdonati, anche l’iniziativa più bella non partirà, e se partirà sarà destinata al naufragio. Non è infatti possibile mantenere una relazione con altre persone se non si è capaci di perdono. Questo non è vero solo nel caso di un’impresa, ma vale anche per la famiglia, per un gruppo di amici o in molti altri contesti.Lo strumento utilizzato nella ricerca del Cscc consiste in una serie di giochi interattivi economicocomportamentali. Ai soggetti è stato chiesto di operare delle scelte che hanno delle conseguenze reali. Spesso si tratta di operare una divisione di una certa quantità di un bene tra sé e un altro partner anonimo a cui si è stati 'associati'. Di solito in questi giochi la remunerazione delle scelte è costituita da denaro. Questo però non è stato possibile in nessuno dei casi sopra indicati: nelle comunità di recupero, in prigione e con i bambini che frequentano le scuole elementari non si possono usare i soldi per evidenti ragioni. I ricercatori hanno così fatto ricorso a tre beni alternativi, ciascuno concordato con la relativa Ong: sigarette per i tossicodipendenti, zuppe liofilizzate pronte per i detenuti californiani, biscotti per i bambini congolesi. Le tre 'popolazioni' oggetto dell’indagine sono state scelte perché si tratta di soggetti in condizioni di difficoltà e di bisogno che stanno ricevendo cura, attenzione e sostegno da persone che innanzitutto vogliono il loro bene e poi credono che facendo del bene si possano attivare dei circuiti virtuosi che in seguito avranno effetti positivi a beneficio di tutta la società.Ecco dunque come funziona uno dei giochi, per esempio nel caso dei bambini. Il direttore dà 10 pacchetti di biscotti a un bambino e gli dice che può tenerseli tutti o può decidere di darne o meno una quantità di sua scelta a una altra persona (di cui non viene rivelata alcuna caratteristica personale), che sarà il suo partner in questo gioco. Il numero di pacchetti di biscotti inviato al partner verrà moltiplicato per due e quindi il partner riceve il doppio di quanto è stato donato. Il partner è libero di reciprocare la liberalità scegliendo (se vuole) di inviare un numero a sua scelta di pacchetti di biscotti al bambino. Quanto descritto, nella letteratura economica (detta 'teoria dei giochi') viene chiamato 'gioco di fiducia'. Se uno non si fida, decide di tenere tutto per sé e il gioco finisce lì. Ma una persona può invece decidere di inviare una parte di ciò che possiede perché spera di sollecitare nell’altro un sentimento di gratitudine o di reciprocità. Il fatto di introdurre un moltiplicatore serve a far sì che l’altro risponda positivamente senza privarsi del bene in questione (più precisamente trasforma la situazione in un gioco non 'a somma zero').I primi risultati relativi ai detenuti californiani  mostrano che, grazie al programma riabilitativo Grip, i detenuti divengono più generosi (+10%), più fiduciosi negli altri (+16%), e meno impazienti, cioè valutano maggiormente il futuro in relazione al presente rispetto a quanto facevano prima del percorso (-25%). Gli ex tossicodipendenti che vivono l’esperienza della riabilitazione in comunità hanno mostrato una significativa crescita del senso di equità a 9 mesi dal momento dell’ingresso (+18%). Insieme ai giochi economico sperimentali sono stati inseriti anche due test psicologici in cui si chiedeva a detenuti e tossicodipendenti di dare una propria valutazione sia della propria attitudine al perdono degli altri sia della propensione al perdono di sé. Quello che la ricerca ha dimostrato è che una persona, anche nella situazione più disastrata, per poter cambiare e avere una relazione positiva con gli altri deve per prima cosa sperimentarla su di sé. Se uno non si sente amato non riuscirà mai ad amare nessuno e se non si sente perdonato non riuscirà mai a perdonare nessuno. I carcerati californiani che hanno partecipato al progetto Grip hanno mostrato una crescita dell’autostima (+13%) una maggiore capacità sia di concedere (+33%) che di richiedere (+15%) il perdono ad altre persone.La ricerca ha anche dimostrato 'statisticamente' quello che qualsiasi operatore di una comunità di recupero conosceva per esperienza, ma che non poteva che descrivere in modo aneddotico: che il passaggio cruciale del cambiamento di un tossicodipendente avviene quando comincia a perdonare se stesso (cioè ad andare oltre l’idea che «non sono degno di...», «l’ho fatta troppo grossa...»). Dopo 9 mesi di permanenza in comunità la capacità di perdonarsi era crescita di circa il 20% e l’autostima dell’8%. La cosa più interessante è che nessuno dei programmi analizzati mette esplicitamente a tema il perdono: nel caso dei detenuti, ad esempio, quello che si cerca di favorire è un aumento della consapevolezza e del senso di responsabilità per quello che si è fatto (e da questo nasce la richiesta di chiedere perdono alle proprie vittime e/o ai parenti delle vittime, in caso di omicidio); nel caso dei tossicodipendenti non è tematizzato il perdono di sé, ma quello che si cerca di trasmettere, attraverso la vita della comunità e le interazioni con gli operatori, è che la propria vita vale, a prescindere dagli errori che uno può aver commesso. È da questa accresciuta autostima e dalla sicurezza che deriva dal sapere che c’è qualcuno che ti vuole bene, nonostante tutto, che nasce la capacità di perdonarsi.Per quanto riguarda i bambini congolesi, un primo confronto tra il campione di coloro che hanno goduto anche di soli 5 mesi di sostegno tramite il programma Sad di Avsi ha mostrato come i bambini 'sostenuti' tendono a 'mentire' di meno (15% contro 25%) e a operare scelte più egalitarie (60% contro 52%) rispetto al campione di controllo, composto da altri bambini che frequentano la stessa classe e che condividono situazioni socio-economiche molto simili. I primi risultati di queste tre ricerche sono stati presentati venerdì pomeriggio, 14 ottobre, in Cattolica, insieme ai protagonisti delle Ong che operano questi interventi di trasformazione: Lorna Beretta di Fondazione Avsi, don Michele Sorce di Casa Famiglia Rosetta e Jacques Verduin di Insight-Out Il mondo di chi fa il bene e quello di chi studia si devono incontrare più spesso. È un’esperienza di incontro che arricchisce tutti: chi fa il bene, impara a fare anche meglio; chi studia, impara che dietro i parametri, i dati e i modelli c’è l’uomo con il suo desiderio, i suoi bisogni, la sua libertà.
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