L’impegno contro la criminalità
giovedì 20 luglio 2017

La mafia prova a rioccupare i territori e lo fa colpendo chi glieli ha tolti. In primo luogo la memoria e i frutti che quella memoria ha prodotto. Memoria e impegno sono i nemici mortali per la mafia. Li teme e li colpisce. Colpisce la memoria e colpisce l’impegno che alla memoria dà un senso concreto. La memoria viva delle cooperative che gestiscono i terreni confiscati alle mafie. E che portano il nome di tante vittime innocenti. Don Peppe Diana, Placido Rizzotto, Pio La Torre, Beppe Montana, Alberto Varone, Rita Atria la "picciridda" di "zio Paolo Borsellino", Rosario Livatino, sì proprio il giudice Livatino contro la cui memoria, e quella di Giovanni Falcone, si è scatenata la rabbia mafiosa. Rabbia di chi, invece, non avrà memoria. Ha sempre meno memoria chi ha scelto di vivere tra bui bunker e interminabili latitanze. Già dai funerali ai quali scelte forti di Chiesa e Istituzioni hanno tolto esibizioni e folle.

E i mafiosi reagiscono. O almeno ci provano. Reagiscono contro vescovi, come quello di Locri-Gerace, Francesco Oliva, che sceglie di sostenere e ospitare la Giornata della memoria e dell’impegno coi familiari delle vittime di mafia. Scarabocchiano sui muri lo slogan "Più lavoro meno sbirri", quasi una bestemmia dalla bocca di chi il buon lavoro lo toglie assieme alla vita dei giusti. Attaccano le cooperative, come quella della Valle del Marro, che invece lavoro lo creano, pulito, coinvolgente, capace di integrare. Premono contro chi "inventa" strumenti efficaci contro vecchi-nuovi affari dei clan, come il presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. Lo fanno col piombo e col fuoco. Sì, il fuoco... Anche dietro tanti dei devastanti incendi di questi giorni gli investigatori vedono una "reazione" delle mafie. La vendetta velenosa del "muoia Sansone con tutti i filistei", di chi distrugge persino la terra dove è nato per difendere i propri affari. Ma in questa stessa estate migliaia di ragazzi stanno invece costruendo, proprio in nome della memoria e dell’impegno. Sono i ragazzi che partecipano a iniziative di cento colori e ai campi di lavoro di Libera, sui terreni che portano il nome delle vittime delle mafie. Lavorano e incontrano i testimoni del tempo, del sacrificio, della speranza.

Lo aveva intuito bene Paolo Borsellino che nell’ultima lettera scritta la mattina del 19 luglio 1992 affermava: «Sono ottimista perché vedo che verso la mafia i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quaranta anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta». I mafiosi uccidendo uomini così volevano annullarne la memoria, ma hanno sbagliato conti. Hanno ottenuto il risultato opposto. Le memoria è cresciuta e si è fatta impegno. Sta dando frutti preziosi e duraturi. E le mafie reagiscono. Certe, purtroppo, di perduranti, colpevoli, mefitiche alleanze.

Ne è esempio terribilmente concreto, il numero record di Comuni attualmente sciolti per collusioni con le mafie: ben 24. Colpa di una politica che non vuole fare memoria, che vive di spasmodica ricerca del consenso, anche di quello mafioso, che convive con collusioni e corruzioni. Incapace di far tesoro, ricordando e impegnandosi, di quei politici che invece la mafia l’hanno combattuta concretamente, non solo a chiacchiere, e per questo hanno pagato con la vita, da Piersanti Mattarella a Pio La Torre, da Angelo Vassallo a Marcello Torre. Impossibile imitarli? No. C’è una politica pulita, retta, trasparente, coraggiosa. Anche nei territori più difficili. E non è fatta da pochi. E la mafia reagisce. Con la violenza e col fango.

Anche qui i numeri parlano da soli: 662 intimidazioni e minacce nel 2016, come riporta il recente Rapporto di Avviso pubblico. Reazioni contro chi trasforma, anche nella politica, la memoria in impegno. Le mafie non si arrendono, si evolvono, cercano nuove alleanze o rinsaldano quelle vecchie, occupano e rioccupano spazi, come quelli delle energie rinnovabili e dell’azzardo. In fondo è il loro "mestiere". Per questo colpiscono la memoria di chi li ha combattuti e l’impegno di chi li contrasta oggi. E allora serve davvero, come ripete spesso don Luigi Ciotti, che «l’impegno non sia intermittente, a corrente alternata». E allora si approvi finalmente la riforma del Codice antimafia, non sarà perfetta ma sarebbe un chiaro segnale che il tema è centrale nell’agenda della politica. Ma non basta ancora.

La lotta alle mafie riguarda tutti. Nessuno può dire: non mi interessa. Nessuno può pensare di chiamarsene fuori», ha detto il presidente Sergio Mattarella a Locri. Sì, proprio tutti. Borsellino, Falcone, Livatino son morti anche perché soli. Lasciati soli. Anche da chi doveva essere al loro fianco. Non può, non deve più accadere. La memoria è anche impegnarsi affinché non accada più. A cominciare dalle prossime scelte del Csm per la guida della Procura di Napoli e della Procura nazionale antimafia che speriamo restino fuori da giochi politici e correntizi, o da freddi burocratismi. Quelli dei quali furono vittime Falcone e Borsellino. Fare memoria è anche questo. Serve verità su quegli anni. E «non una verità qualsiasi», ha detto Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato. Ma serve anche voltare davvero pagina.

Fino in fondo. La mafia non è ancora vinta, è stata colpita duramente e reagisce. Non aiutiamola. Altrimenti la memoria, anche quella di questi giorni, sarà solo vuota retorica. A noi giornalisti il difficile ma splendido onere di raccontare, come esortava Borsellino: «Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione. Però parlatene». Per nutrire la memoria, per alimentare l’impegno. I mafiosi non l’avranno vinta, mai.

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