Innovazione sta diventando la nuova parola d’ordine del XXI secolo. Ma, come spesso accade, le cose più interessanti e davvero rilevanti cominciano con i predicati, i verbi e gli aggettivi, perché se manca la capacità di articolare un buon discorso attorno all’innovazione, presto questo affascinante sostantivo farà la fine di tante grandi parole che stiamo logorando e quindi banalizzando (merito, efficienza, e tra poco democrazia). Il padre della teoria dell’innovazione è Joseph A. Schumpeter, che poco più di un secolo fa (
La teoria dello sviluppo economico, 1911) ci presentò una visione dell’economia di mercato dinamica, storica e capace di spiegare che cosa stava veramente accadendo al capitalismo del suo tempo. I classici sono importanti, lo sappiamo, non tanto per le risposte che hanno dato (che sono legate al loro periodo storico, e quindi provvisorie) ma per le domande che hanno posto. Alcune domande di Schumpeter sono tra quelle fondamentali: quale è la natura del profitto e dell’imprenditore? Da dove nasce lo sviluppo economico? Quale la funzione del credito e della banca? Il centro logico di queste domande è proprio la categoria di innovazione, perché se non ci fossero imprenditori e banchieri innovatori, ma solo istituzioni routinarie e cercatori di rendite, non ci sarebbe vero sviluppo economico. Sulla semantica dell’innovazione ci sono però molte altre cose da dire.Oltre 26 milioni di disoccupati in Europa, tra i quali troppi giovani, la vulnerabilità e la tristezza crescenti di troppa gente, sono segni inequivocabili che il nostro tempo avrebbe bisogno di innovazioni grandi, di "crinale". Non quelle che si insegnano nelle business school, né quelle che si inventano i nostri poveri giovani per poter partecipare a complicatissimi bandi europei (bandi scritti sempre più sovente da funzionari che le innovazioni vere non le hanno mai viste, né odorate e toccate nei luoghi fuori dagli uffici), né quelle raccontate nei noiosi libri o siti web di buone pratiche innovative. Le grandi innovazioni non si apprendono in nessuna scuola. Hanno bisogno di vocazioni, e quindi di quella risorsa sempre più scarsa e consumata dal nostro capitalismo che vorrebbe le innovazioni: la gratuità. Spesso la grande innovazione, nella scienza ma anche in economia e nella vita civile, arriva cercando altro. È quanto successo e succede in alcune importanti scoperte scientifiche (per esempio la penicillina), molte volte nella ricerca matematica, ma anche più semplicemente in libreria, dove entro per cercare un libro e l’occhio mi va sul libro accanto che mi apre un mondo nuovo (le librerie e le biblioteca sono indispensabili anche per questo). È una versione della cosiddetta
serendipidity, che prende il nome dal racconto «Il Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo», di Christoforo Armeno, viaggiatore originario di Tabriz (Venezia, 1557). Altre volte le innovazioni grandi arrivano come "riciclo" per un uso diverso di qualcosa nato in origine per altre funzioni. È quel fenomeno che i biologi evolutivi chiamano
exaptation, che spiega, tra l’altro, la storia evolutiva delle ali, che si svilupparono originariamente per regolare la temperatura corporea, e poi vennero "riciclate" per il volo. Qualcosa di simile è avvenuto con internet, e in altri casi (dal magnetofono ai cd). La serendipity e l’exaptation sono importanti anche perché incorporano qualcosa di analogo alla gratuità. La gratuità non è il gratis (prezzo zero) ma il valore infinito, non è il disinteresse ma l’interesse per tutti e di tutti. Quando si agisce con questa gratuità non si segue la logica del calcolo strumentale mezzi-fini, ma si ama quella data attività o persona per sé e prima dei risultati che porta, per un’eccedenza etica, antropologica, spirituale. Se lo scienziato non si immerge nelle sue ricerche e si fa guidare dalla legge intrinseca della scienza, se l’artista non ama l’opera che sta creando per se stessa, se l’imprenditore non si appassiona alla sua impresa, se il futuro santo non si dimentica del premio della santità e ama con agape, è molto difficile che arrivino grandi scoperte, imprese, opere d’arte, la santità. Si possono forse generare persone per bene, piccole opere, e le innovazioni di "vallata" come sono quelle che nascono ogni giorno nei dipartimenti di ricerca e sviluppo o di marketing. Ma nei centri di ricerca e sviluppo non nascono la
Divina Commedia, la
Sesta sinfoniadi Tchaicovsky, Nelson Mandela non diventa Madiba. Per queste innovazioni c’è bisogno di gratuità, dell’eccedenza gratuita che sa creare valore infinito. Anche le grandi innovazioni economiche e sociali hanno bisogno di questa gratuità. Soprattutto ne hanno un bisogno essenziale le innovazioni di "crinale" che, diversamente dalle innovazioni di "vallata", nascono da chi si trova, per vocazione, sui crinali delle montagne, e da lì vede e apre nuovi orizzonti. Fu l’eccedenza gratuita di Benedetto che riscattò il lavoro dalla schiavitù, e quella dei francescani e di tanti parroci e cooperatori che diede vita alle grandi innovazioni delle banche per i poveri. Fu la gratuità eccedente di Francesco di Sales o di Camillo di Lellis che inventarono lo stato sociale per gli "scarti" del loro tempo, e quella delle tante fondatrici di scuole per fanciulle povere, che iniziarono con l’abecedario il lungo viaggio della donna verso l’uguaglianza di diritti e di opportunità, un lungo viaggio che continua con le tante Malala Yousafzai (la ragazza pachistana colpita dai taleban perché simbolo della donna che si istruisce). Fu la gratuità eccedente di Gandhi a liberare l’India e a combattere il sistema castale, dando così vita a uno dei più grandi miracoli civili ed economici della storia. Per queste innovazioni occorrono i carismi, religiosi e laici, persone capaci di vedere diversamente, dai crinali dell’agape, le pietre scartate del loro tempo e trasformarle in testate d’angolo.Di eccedenza gratuita e innovativa è piena la terra. Forse nessuno si potrebbe salvare e riscattare dalla mediocrità se non facesse durante la sua vita almeno un’azione di eccedenza gratuita. Ma oggi avremmo bisogno anche di nuove grandi innovazioni di "crinale", che diano una svolta alla nostra storia. Per queste innovazioni c’è bisogno però dell’energia, quasi infinita, della gratuità. Le innovazioni di crinale sono sempre meticce, promiscue, contaminate e intrecciate; soprattutto quelle economiche, non nascono dai laboratori, ma sono il frutto della generatività di popoli, generazioni, culture. Quando queste innovazioni fioriscono nel terreno dell’economia, chi le compie sa guardare più in alto e più lontano della sola economia, e in quell’altrove trovano anche nuove risorse economiche. Nella nostra storia economica e civile abbiamo avuto innovazioni di crinale, quando abbiamo saputo guardare, grazie a carismi anche politici ed economici, in territori dove nessuno guardava, o dove chi vi guardava vedeva solo problemi. Torneremo a fare buona economia se saremo capaci di guardare altrove e scorgervi nuove opportunità, di includere gli scartati da questo sistema, che oggi si chiamano immigrati, giovani, anziani, e tutti i poveri di ieri e di oggi. La chiesa di Papa Francesco sta creando un ambiente adatto per possibili nuove grandi innovazioni sociali ed economiche di crinale. Ma perché questo ambiente sia popolato di nuovo lavoro, diritti, vita, occorrerebbero la forza di Isaia e di Geremia, o la forza dei carismi. Una Caterina da Siena, un don Bosco, un Martin Luther King oggi guarderebbero dai loro crinali le nostre città. Scorgerebbero nelle folle la fame di lavoro e di vita vera, la paura del presente e del futuro dei loro figli. Si commuoverebbero, ci amerebbero col loro sguardo diverso e alto, e si metterebbero subito all’opera, innovando veramente. Ma dove sono, oggi, i profeti?
l.bruni@lumsa.it