Siamo alle solite. Le Olimpiadi più dichiaratamente politically correct della storia, dimenticano spesso e volentieri di esserlo per il corpo delle donne. O, meglio, lo dimenticano soprattutto i tanti commentatori sportivi e giornalisti (in netta prevalenza maschi) che si occupano di sport. A Rio durante la cerimonia di apertura dei Giochi si sono sentiti plausi ecologisti allo sfilare di semi e piantine e parole attentamente misurate sulla scelta di fare apparire in corteo la modella transessuale brasiliana Lea T.
E ancora, si è visto apprezzare come scelta di integrazione il fatto che le atlete musulmane giochino a beach volley con lo hijab (cioè a viso scoperto, ma a capelli, e resto del corpo, completamente velati). Poi, appena appaiono i bikini delle loro avversarie, si scatenano ammiccamenti, sorrisini e commenti sui 'lati b'. La stampa non è da meno, con gallerie fotografiche di centinaia di scatti delle pallavoliste da spiaggia sugli stessi siti che – a ragione – si indignano per la mancata parità uomo-donna, la svalutazione dell’universo femminile, l’uso distorto del corpo delle donne.
È vero, ogni atleta, oltre alla sua bravura, sfoggia il proprio corpo e non si può non ammirarne la forza, la grazia e la bellezza. Ma quel corpo è solo la concretizzazione, potremmo dire la punta dell’iceberg di ore di fatica, allenamento, sudore, impegno, concentrazione. Esattamente gli stessi del «trio delle cicciottelle» del tiro con l’arco, come ha infelicemente titolato il QS, Quotidiano Sportivo, sollevando una vera rivolta sui social che è costata l’incarico al direttore.
Guendalina Sartori, Claudia Mandia e Lucilla Boari, azzurre del tiro con l’arco, sono innanzitutto ragazze splendide, delle atlete che grazie al loro talento e al loro impegno sono arrivate nell’Olimpo dello sport, dando un magnifico esempio e la carica a tante ragazze. Anche a quelle che magari soffrono di disturbi alimentari o di disistima solo perché non conformi ai 'canoni' dettati dalla moda. Al top è arrivata anche Teresa Almeida, detta Bà, il portiere della nazionale femminile angolana di pallamano, che si è fatta notare con i suoi 98 chili su un metro e 70 di altezza. Lei si è detta «orgogliosa di essere cicciottella», smontando con un sorriso quelli che ironizzavano.
Cosa che raramente avviene per gli atleti maschi, per quanti rotolini abbiano sui fianchi. Il fatto è che le donne, purtroppo, continuano a essere giudicate anzitutto per l’aspetto estetico e poi, eventualmente, per le loro doti e capacità. Per una donna, dimostrare di essere brava, al di là del fattore fisico, è sempre una lotta. Anzi, una gara olimpica.