Una "via" senza code, senza frastuono di motori, senza stress, senza fumi di scarico, senza assatanati che ti tampinano, senza autogrill dove entri e non sai come uscirne. Si chiama via Francigena e si percorre a piedi. Ieri è stato "lanciato" in grande stile dall’Opera romana pellegrinaggi il tratto da Assisi a Roma lungo la valle Reatina, la più francescana delle valli. È una bella notizia. E ci aiuta a penetrare nei contorni reali, e più profondi, della crisi... La crisi, infatti, è crisi dell’intero sistema. Lo ricordano gli economisti più lucidi, lo afferma anche il Papa: l’economia mondiale non si è presa un semplice raffreddore ma qualcosa di ben più serio, che la costringe a ripensare a se stessa a fondo. Si illude di crede che tutto possa presto ripartire come prima. Ma si illude pure chi crede che la crisi riguardi solo l’economia, la finanza creativa e i suoi corifei. In realtà a uscire cambiata dalla crisi sarà la nostra vita tutta intera. È sempre successo così: tutte le crisi profonde obbligano a rivedere la propria
Weltanschauung, la concezione globale dell’esistenza, i modelli di pensiero e gli stili di vita. I cambiamenti sono, e saranno, lenti, progressivi e non riguarderanno tutti allo stesso momento. Ma stanno già avvenendo. Alcuni esempi. La frase: «Andiamo a farci un giro in automobile» ad alcuni non viene più in mente, sostituita dal semplice: «Andiamo a farci un giro», magari a piedi o in bicicletta o in autobus. I laicissimi pellegrinaggi (sic) ai centri commerciali, al sabato e alla domenica, non cessano, i parcheggi rigurgitano di scatole metalliche, ma molti "devoti" gironzolano tra vetrine e scaffali a mani vuote: guardano, desiderano (sempre meno), non consumano. Almeno, non con la frenesia di ieri. La penuria di mezzi, che rende inaccessibili alcuni fini, induce alcuni (pochi, molti?) a ripensare i propri desideri indirizzandoli altrove. Vengono in mente i «domini da adottare per la misurazione del benessere» individuati dal Comitato di indirizzo creato da Cnel e Istat per affiancare al Pil qualcos’altro, perché la ricchezza di una nazione non è la pura e semplice e banale somma delle merci prodotte e del denaro scambiato. C’è anche dell’altro. E dell’Altro con la a maiuscola. Ci sono beni immateriali. Ci sono l’arte e la natura, la musica e la lettura (musica suonata e cantata, libri scambiati e prestati: il Pil langue...). C’è l’amicizia, ossia gli altri considerati non come concorrenti nella grande gara del consumo, ma persone con cui allacciare legami gratuiti. E c’è un tempo libero che alcuni italiani, a poco a poco sempre più numerosi, non consumano secondo frenesia, rumore e apparenza, esibendosi nelle località modaiole e assecondando l’equazione ingannevole: più spendi, più ti diverti. C’è un tempo lento, fatto di vuoto non da riempire ma da assaporare. Di silenzio non da ammazzare ma da ascoltare. Un tempo non solo orizzontale ma anche verticale, che spinge a scrutare verso l’Alto e l’Altro. La via Francigena è un’occasione e un segnale, diversa ma analoga alle Giornate mondiali della gioventù che si affollano di ragazzi che, secondo il diktat consumistico, dovrebbero rimpinzare lo stomaco vorace del divertimentificio piatto. La via Francigena, al pari del Camino di Santiago e di tanti altri itinerari, è una preziosa chance per un’anima che riemerge e reclama spazio. Non semplice escursione né "turismo alternativo" – va detto forte: nessun business sugli itinerari dell’anima, per non strangolarli – ma luogo gratuito dove l’anima respira, il tempo rallenta; e puoi fissare un ramo d’albero, uno spicchio di cielo o uno zampillo d’acqua, e pregare o soltanto meditare in una cappella, o davanti a un capitello, senza che il biglietto scada e ti chiedano altri soldi e nessuno ti spinga per prendere il tuo posto. Un luogo dove la libertà è davvero libera, e tale va mantenuta.