Hanno un nome i due uomini uccisi e dati alle fiamme la scorsa notte davanti al cimitero di Melito, grosso centro alle porte di Napoli.
Si tratterebbe di Raffaele Stanchi e Luigi Mondò di Scampia, il famigerato quartiere crocevia della droga che attraversa l’Italia e che vede, da anni, contrapposti in una terribile faida, il clan della famiglia Di Lauro e l’ala ribelle, i cosiddetti scissionisti. Nessuna pietà per coloro per i quali era stata decretata la condanna a morte. Delitto eclatante, da servire da esempio per chi, in futuro, avesse intenzione di tradire la 'famiglia', i patti, le alleanze.
La storia è sempre la stessa. Questi uomini pure. Si confessano eterno amore. Si chiamano fratelli. Si dicono disposti a dare la propria vita per l’altro. Fanno patti, riti, giuramenti. Tengono a battesimo i piccoli rampolli dei compari. Poi, quando i soldi cominciano a girare a palate, quando si sentono corteggiati da chi prima nemmeno li degnava di uno sguardo, vengono invasi, posseduti da una strana mania di grandezza.
Non capiscono più perché debbano continuare a sottostare ai patti, né il motivo per cui dividere il guadagno con chi è perdente in quel momento. Si convincono che da soli possono ottenere tutto, si incaparbiscono che riusciranno là dove gli altri hanno fallito. E si consegnano a quella maledetta frenesia che si impossessa di loro e delle loro facoltà mentali. La prudenza lascia il posto a una lucida follia. Succede così che comincino, caparbiamente, a scavarsi la fossa nella quale finiranno per essere sepolti.
Intanto sembra che gli altri abbiano paura o che dormano. Fino al momento in cui scatta la trappola. Allora tutto cambia. Tutto diventa buio. Tutto diventa morte. È allora – ma ormai è tardi – che si risvegliano dal torpore in cui erano caduti e si accorgono che i loro nemici sono invasi dalla stessa forza maledetta che li tiene prigionieri e, come a loro, non concede tregua. Una febbre li fa delirare. Un delirio li consuma. Una sete di sangue e di vendetta che si placa solo con la morte – esemplare, eclatante – di chi ha tradito. Di lui, se possibile, non deve rimanere nemmeno il corpo. Chi gli ha voluto bene deve patire una sofferenza atroce.
La storia si ripete. Vecchia. Sempre uguale.
Noiosissima e terrificante. E, cosa alquanto strana, sempre trova chi è disposto a scommettere sulla sua efficacia. Caino non si arrende. Caino ancora insanguina le strade. I mille clan che si spartiscono gli affari illeciti della città, non hanno mai smesso di essere sul piede di guerra. Gli odi viscerali che contrappongono interessi milionari e persone divampano più del fuoco. Non sono trascorse che poche ore dal ritrovamento dei due cadaveri bruciati e, sempre a Melito, viene consumato un altro delitto. A cadere sotto i colpi di pistola stavolta è il 52enne Patrizio Serrao. Il 5 gennaio fu la volta di Rosario Tripicchio. L’anno nuovo, a Napoli, è iniziato sotto i peggiori auspici.
Gli inquirenti non hanno dubbi. Nemmeno la gente comune. È di nuovo guerra tra il clan dei Di Lauro e gli scissionisti. Non bisogna abbassare la guardia, oggi più che mai.
Occorre tenere gli occhi bene aperti soprattutto in questi tempi di crisi nei quali tanta gente versa in condizioni di estrema povertà. Sotto le case di tanti camorristi c’è chi fa la fila per ottenere un qualsiasi posto di 'lavoro' per poter continuare a vivere.
Coloro che non sanno più dove 'posare il capo' interpellano la società politica e civile.
Sono là. Nelle nostre città, nelle nostre periferie. Non possiamo ignorarli. Melito è a pochi passi dall’Agro Aversano, da Secondigliano, da Miano, da Scampia. Terre di camorra, di espedienti, di imbrogli milionari per pochi e di vite bruciate per sempre per tanti altri. La recrudescenza della camorra – non occorre dimenticarlo mai – avviene là dove lo Stato è debole, pigro o completamente assente.