Banche, non è solo il prezzo a farne il valore
giovedì 3 ottobre 2024

Gli interessi dichiarati da UniCredit per il colosso tedesco Commerzbank, con tutto ciò che ne sta conseguendo, ricordano che situazioni come queste, con relativi protagonisti, non possono essere ricondotte alla sola finanza. Quando si discute di fusioni (e non solo), sul tavolo ci sono quotazioni, concambi, dinamiche di controllo e di rappresentanza, ma non tutto si decide in Borsa. Anzi: quando di mezzo c’è una banca e quindi l’attività di intermediazione creditizia (oltre che di gestione del risparmio e degli investimenti) le dinamiche acquistano una valenza anche politica. In cui le istituzioni e i regolatori hanno un potere decisivo, che va spesso al di là di quello assegnato dalle norme, e i soggetti bancari contano non solo per i miliardi che capitalizzano sul mercato e sul prezzo a cui si offrono, ma anche per i valori che sanno esprimere e la reputazione che ne deriva, a tutti i livelli.

Ecco allora che assume una particolare e non accademica rilevanza la ricerca che ricostruisce il percorso dal Monte di pietà a Intesa Sanpaolo, condotta da Francesco Antonioli, giornalista finanziario già firma apprezzata di Avvenire. Una ricerca che sarà presentata oggi alle 17 al grattacielo di Torino, alla presenza di presidente e ad della banca, Gian Maria Gros-Pietro e Carlo Messina. Il libro (“La banca dei valori”, Leo S. Olschki editore) è un viaggio negli eventi, nelle persone e nelle grandi scelte strategiche che hanno portato alla nascita della prima banca italiana e tra i leader europei per capitalizzazione - sui livelli degli spagnoli del Santander e dei francesi di Bnp Paribas.

Il fatto è che i 67 miliardi di euro di valutazione di mercato dicono solo una parte di quanto costruito dalla banca, che lo stesso mercato talvolta fatica o si rifiuta di vedere e dunque di “prezzare”. Perché ogni banca, così come ogni realtà economica ha un Dna complesso, stratificato nel tempo. Nel caso di Intesa Sanpaolo l’esplorazione storica porta fino alla Compagnia di San Paolo e alla Torino del 1563, quando nel territorio cittadino i primi Monti di pietà tentavano di dare una risposta strutturale alle numerose emergenze sociali dell’epoca.

Quasi cinquecento anni dopo, è interessante riscoprire le fondamenta di quella che l’autore definisce «architettura civile» maturata nel tempo dalla banca e l’impatto sociale che ha saputo produrre nel corso di questi secoli.
Un’operazione che non guarda solo al passato: i pilastri su cui la banca ha costruito la sua storia e la sua identità sono anche la base per le proprie scelte strategiche presenti e future, in un contesto che è trasformativo per definizione. Un contesto, come richiama Gian Maria Gros-Pietro nella sua prefazione al volume, in cui vanno conciliate esigenze diverse con orizzonti temporali e interessi diversi. Un “incrocio pericoloso”, in cui ogni azienda costruisce la sua specifica via per uno sviluppo più o meno sostenibile. «Contemperare le esigenze presenti e quelle future, di chi investe denaro e di chi offre lavoro, o investe il proprio futuro professionale in iniziative che richiedono la convergenza simultanea di capitale finanziario, capitale conoscitivo e vita delle persone, implica la capacità, e il desiderio, di trovare soluzioni di convivenza condivise, volte a crescere insieme», scrive Gros-Pietro. Un traguardo, per Intesa Sanpaolo, ma anche un inevitabile e impegnativo punto di partenza.

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