Imprese e Stati americani sfidano Trump sul clima
martedì 16 ottobre 2018

È stato finora uno dei principi guida dell’Amministrazione Trump e una delle promesse elettorali che il presidente repubblicano ha mantenuto con maggiore coerenza. Lo smantellamento delle politiche ambientali di Barack Obama è cominciato presto e ha continuato senza indugi. Nel giugno 2017, Donald Trump, che ha più volte espresso il suo scetticismo sulla realtà dei cambiamenti climatici e della loro origine, ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi.

Più tardi ha proposto l’abrogazione degli standard obbligatori per i consumi delle automobili, gli American Clean Cars Standards, un’altra normativa dell’era Obama che stabiliva limiti stringenti per l’efficienza e le emissioni di carburante dei veicoli. Nel frattempo l’Environmental Protection Agency (Epa, agenzia preposta alla protezione ambientale alla cui guida Trump ha messo in primis un clima-scettico e ora un ex lobbista dell’industria del carbone), ha abbandonato il piano di energia pulita masso a punto dall’Amministrazione democratica per sostituirlo con la "regola delle energie pulite a prezzi accessibili". Si tratta di un piano che abbandona l’obiettivo di ridimensionare la dipendenza degli Stati Uniti dal carbone e ridurre le emissioni di gas a effetto serra della nazione di un terzo entro il 2030. Invece, Trump vuole permettere agli Stati produttori di carbone, dove tiene regolarmente comizi intitolati "Trump ama il carbone" di stabilire loro stessi i limiti sulle emissioni di gas dalle centrali elettriche.

Dall’insediamento di Trump a oggi l’Epa ha rinunciato del tutto al suo compito di fissare obiettivi nazionali di per la lotta contro i cambiamenti climatici. Ha invece investito in tecnologie per aumentare l’efficienza delle centrali elettriche e dato il via libera a un aumento della quota del carbone nel mercato dell’energia. Paradossalmente, uno studio fattuale, e obbligatorio, della stessa Epa sulle conseguenze di queste mosse ha concluso che porteranno a un aumento delle morti per malattie da inquinamento. L’America non è stata a guardare mentre l’Amministrazione faceva fare agli Stati Uniti un completo dietrofront sul piano ambientale. Molti settori industriali, dall’energia elettrica alle automobili, dall’agricoltura alla refrigerazione, si sono accorti che il puzzle statale normativo inaugurato dall’era Trump sarebbe stato più controproducente per gli affari che il rispetto di norme chiare di contenimento dei gas nocivi, senza contare che la differenza negli standard li avrebbe indeboliti alla competizione internazionale. Allo stesso tempo le amministrazioni locali, per motivi politici, idealistici o in risposta alla pressione dell’opinione pubblica, hanno moltiplicato i loro sforzi a lottare per frenare l’inquinamento.

La portata della mobilitazione pubblica e privata è sfociata di recente in un summit a San Francisco, il Global Climate Action Summit, che ha mostrato come gli Stati Uniti cerchino ancora di procedere lungo le linee guida definite dall’accordo di Parigi, perlomeno a livello subnazionale.

Il settore privato ha fatto promesse audaci durante il summit: il colosso della grande distribuzione Walmart e la multinazionale agroalimentare Unilever si sono impegnati a limitare la deforestazione nella loro catena di fornitura, Lyft, la società di servizi di taxi concorrente di Uber, ha promesso di raggiungere la totale neutralità nelle emissioni nocive, convertendosi alle auto elettriche e 21 aziende hanno stretto un’alleanza per investire insieme in tecnologie che riducano le emissioni di gas a effetto serra. Il motore del cambiamento resta però la California, la quinta economia mondiale, da decenni all’avanguardia nelle politiche ecologiste e per le energie rinnovabili e da due anni il principale oppositore delle politiche di Trump a favore dello sfruttamento di fonti fossili. Il Governatore Jerry Brown ha firmato una legge che impegna lo stato al 100% di energia rinnovabile entro il 2045 e ha annunciato che lo Stato lancerà il proprio satellite in orbita per monitorare i gas serra.

Intanto, sulla costa Est, New York, Maryland e Connecticut hanno approvato leggi per eliminare gradualmente gli idrofluorocarburi, i potenti gas serra utilizzati nei sistemi di raffreddamento come condizionatori d’aria e frigoriferi. Poiché anche la California ha approvato una legislazione simile all’inizio del 2018, la mossa degli altri tre Stati potrebbe convincere i produttori a eliminare definitivamente questi gas a livello nazionale. Intanto l’Alleanza per il clima degli Stati Uniti, una coalizione di 16 Stati Usa e Porto Rico, ha rilasciato una dichiarazione congiunta con il Canada e il Messico, affermando l’impegno a lavorare insieme a un’agenda ambiziosa sul clima in tutto il Nord America. La California ha anche annunciato piani per lavorare con la Cina sui veicoli a zero emissioni e sulla ricerca sulle celle a combustibile.

E 27 città, tra cui Boston, Chicago, Los Angeles, New Orleans, New York, Philadelphia, Portland, San Francisco e Washington hanno promesso di ridurre le emissioni di gas tossici grazie a autobus a zero emissioni, la creazione di grandi zone urbane che ammettono solo veicoli elettrici e la riduzione dei rifiuti di ciascun cittadino del 15%, il tutto entro il 2025 o il 2030. All’indomani del summit, gli esperti di salvaguardia del clima della U.S. Climate Alliance hanno calcolato i potenziali effetti delle iniziative emerse e rilevato che gli sforzi pubblici e privati ridurranno le emissioni degli Stati Uniti al 17% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2025. Un risultato importante, ma comunque inferiore all’impegno preso dagli Stati Uniti di Barack Obama nell’accordo di Parigi di una riduzione dal 26% al 28%. La conclusione è evidente. Il lavoro di Stati, città e aziende americane non basterà a compensare il drastico cambiamento di rotta dell’Amministrazione Trump nella salvaguardia della Terra.

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