È una Giornata che compie 100 anni, quella che celebriamo oggi in tutte le parrocchie italiane. Infatti, nel 1914, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, papa Benedetto XV indirizzava una lettera a tutti i vescovi italiani nella quale li invitava a celebrare in diocesi una Giornata per i migranti e i rifugiati. La guerra aveva creato molti profughi, lavoratori e famiglie emigrate espulse, per le quali il Papa chiedeva gesti di solidarietà e accoglienza. Cent’anni dopo, mentre non una ma 23 guerre in atto creano milioni di nuovi rifugiati e profughi, e il debole sviluppo e la mancanza di un’equa distribuzione dei beni della terra tra i popoli generano 232 milioni di migranti nel mondo, Papa Francesco indica nei migranti e i rifugiati i volti per la «speranza di un futuro migliore». I movimenti migratori, ricorda il Santo Padre, invitano anzitutto a nuovi percorsi di cooperazione internazionale, investendo nello sviluppo integrale delle persone e dei popoli. La mobilità dei lavoratori immigrati, poi, oltre a una nuova economia di comunione e a un’equa distribuzione dei beni, chiedono una nuova attenzione alla tutela dei diritti dei lavoratori e delle loro famiglie. In Italia occorre non dimenticare le tragedie di Rosarno, Firenze, Nardò, Lampedusa, Prato e lavorare perché sempre al centro della politica migratoria, aldilà delle necessarie e auspicate revisioni, sia salvaguardata la dignità dei migranti. In Italia questo mondo di lavoratori stranieri oggi è cresciuto. Sono circa 2 milioni e 300 mila i lavoratori immigrati: più di un lavoratore su 10 in Italia è un lavoratore immigrato. Nell’ultimo quinquennio, i lavoratori immigrati sono aumentati del 35% passando da 1.700.000 a 2.300.000. Sul versante della disoccupazione, la situazione dei lavoratori immigrati in Italia in questo periodo di crisi ha avuto una crescita che nel 2010 era del 11,6%, e nel 2011 è salita al 12,1%, nel 2012 è arrivata al 14%, 4 percentuali in più dei lavoratori italiani. I dati del 2013 danno la disoccupazione immigrata al 18%. Soprattutto la tragedia di Prato, città con 6500 imprese tessili di cui 3500 di cinesi, con i 7 lavoratori arsi vivi nella fabbrica dove erano rinchiusi e dove erano retribuiti a 40 centesimi a capo finito, notte e giorno, senza turni, festività, riposo settimanale, riconoscimento della malattia, è stata dimenticata troppo velocemente. In realtà, dietro questa tragedia si riconosce purtroppo la caduta di tutela del lavoro e dei lavoratori immigrati oggi in Italia, in diversi comparti lavorativi (artigianato, cantieristica, agricoltura, industria, turismo, servizi alla persona) che non può essere giustificata anche in tempo di crisi. Gli strumenti dell’Unar e del Dipartimento delle Pari opportunità di fatto sono insufficienti a rilevare e fotografare una situazione di sfruttamento lavorativo che, purtroppo, cresce nel nostro Paese più che in Europa. Nuovi strumenti e percorsi, con la valorizzazione anche della rete del mondo dell’associazionismo, del sindacato e del volontariato sono necessari e in più direzioni. L’esperienza di tutela alle vittime di tratta per lavoro dimostra come i "tragitti" dei lavoratori sono incatenati dentro un percorso a tappe precise: la partenza è dalla povertà, il viaggio è disseminato di abusi, l’arrivo è nello sfruttamento, il ritorno è l’espulsione. Entrare in questo percorso perché non si risolva nell’espulsione, ma nella tutela dei diritti della persona che lavora è il senso di un’azione normata e coordinata sul territorio. Oggi celebreremo una domenica diversa, condividendo con Papa Francesco il cammino della Chiesa, con la preferenza per i migranti.