mercoledì 23 maggio 2012
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​L’ansia di catturare quell’uomo. Quel tipo in giacca scura che nell’occhio di una videocamera preme su un telecomando, pochi secondi prima dell’esplosione, orrendamente calmo: e poi senza fretta si allontana. È umanamente comprensibile che il desiderio di trovare subito l’attentatore percorra Brindisi, la popolazione e anche i cronisti, come una febbre. L’altra sera i siti di molti quotidiani davano per cosa fatta l’arresto dell’uomo della bomba.

Ne riportavano le iniziali, l’età, l’aspetto, il mestiere e il quartiere in cui abita, oltre al particolare di una invalidità a una mano. L’hanno preso, ci si diceva nelle redazioni - con un misto di soddisfazione e di incredulità, in un Paese che dopo quarant’anni non sa ancora chi mise certe bombe, e perché. E invece no, quell’uomo, sembra, non c’entra. L’han rimandato a casa, gli inquirenti. Ma intanto una piccola folla si era già assembrata davanti alla Questura, e ha preso a calci e pugni l’auto su cui credeva si trovasse il fermato, in una cupa voglia di linciaggio. Ma intanto in tutto il quartiere Sant’Elia, di bocca in bocca quel nome correva, in un irrefrenabile affastellarsi di frettolose certezze: è lui, è sempre stato uno strano, troppo silenzioso, sempre a trafficare con antenne e telecomandi... E le testate sul web a ripetere affannosamente quella "certezza", nella competizione che si è fatta più aspra da quando l’aggiornamento on line è continuo, e bisogna essere sempre più veloci.

L’ansia popolare di trovare un colpevole si è coniugata con la fretta bruciante dei nuovi media e ha prodotto una bolla gonfia, subito scoppiata. Ma intanto, un intero quartiere ha creduto di sapere il nome e la faccia dell’assassino. Un’ombra così scura che chissà se basterà la smentita degli inquirenti, a lavarla via del tutto; o chissà se invece un po’ di quel sospetto atroce non resterà, nel fondo degli sguardi dei vicini di casa. La sfida alla velocità dell’informazione ha prima riflesso e poi moltiplicato l’ansia di avere un colpevole; e in modo esponenziale, come parallelamente alla velocità del web.

E chi lavora nei giornali da trent’anni ha come la sensazione di trovarsi, abituato a guidare una familiare, al volante di una macchina che brucia i semafori. (Ma più il mezzo è veloce, più lucida e calma deve essere la guida - quando si parla del destino di un uomo). La frenesia che percorre Brindisi e che tracima nelle cronache da laggiù si porta dentro, come un fiume in piena, un altro elemento preoccupante. Autorevoli giornali riportano la notizia  della "collaborazione" di elementi della mafia pugliese, che confidenzialmente mandano a dire agli inquirenti: se quello lo prendiamo noi, lo ammazziamo.

 

E pare di sentirlo un plauso popolare, viscerale, a queste promesse. Come se di questa "giustizia" ci si potesse fidare, come se sulle sue sentenze si potesse contare, mentre la giustizia dello Stato è così lenta, e tante volte, dopo anni e anni, fallisce. È evidente però, in questa assunzione di responsabilità sociale da parte della criminalità organizzata, che la mafia usa anche questa tragedia per legittimarsi , agli occhi della popolazione, come soggetto "buono"; apertamente, e non più solo in un tacito costume; e nell’equivoco si alimenta e attecchisce di nuovo. E tutto è accelerato nello spingersi reciproco di web e umori della strada, che proprio per la velocità e l’emotività che li caratterizzano entrambi sembrano un treno troppo veloce, che facilmente deraglia.

Il fatto è che non necessariamente l’immediatezza del comunicare è qualità della comunicazione. Un tweet, un titolo on line richiedono un istante: molto meno di quanto occorre per pensare. Il paradosso è che in quella corte chiassosa che è un mondo sempre connesso, discernere ciò che è vero è ancora più difficile. Ci aiuterebbe un po’ di silenzio, come ha detto il Papa; ma il silenzio ci spaventa. Corrono sempre di più le notizie, vere e false, confuse insieme, affannate; e noi, crediamo d’essere sempre più informati. Ma bisogna saper scegliere, cronisti e lettori. E non bisogna avere paura del silenzio e della parola che lo scava e che incide, con forza e senza mai violenza. A ragion veduta.

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