L’importanza delle politiche migratorie nell’agenda attuale dei governi e dei partiti è un dato ben noto, confermato dalla drammatizzazione del tema nella campagna elettorale statunitense e dall’enfasi posta dai leader europei sul nuovo Patto sull’immigrazione e l’asilo, che non promette granché di buono alle persone in cerca di protezione umanitaria. Le iniziative dei governi per ridurre gli ingressi indesiderati, incrementare i rimpatri, limitare i diritti dei nuovi arrivati, si devono confrontare però con due ostacoli: l’indipendenza della magistratura, nei suoi compiti di tutela della legalità, e l’attivismo delle forze della società civile impegnate nella difesa dei diritti umani. Di entrambi questi fattori abbiamo avuto prova in questi giorni, in due diverse circostanze.
La prima storia riguarda la nave umanitaria tedesca Juventa. Sequestrata sette anni fa per ordine della magistratura, ha visto il suo equipaggio colpito dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione “illegale”. Ora la stessa procura di Trapani, con encomiabile ripensamento, ha chiesto al Gup il non luogo a procedere, perché «il fatto non costituisce reato». Ennesima sconfitta per gli scomposti attacchi al soccorso umanitario, per chi da anni criminalizza le Ong e i loro sostenitori etichettandoli come vice-scafisti, taxi del mare, complici dei trafficanti, e altro ancora. Stupisce semmai che una parte della magistratura inquirente, specie in Sicilia, si sia dimostrata sensibile alle sollecitazioni delle forze di sicurezza e delle autorità politiche, accanendosi con ispezioni, fermi delle navi, azioni processuali nei confronti delle Ong impegnate nei salvataggi. Il caso di Carola Rackete ancora risuona a livello internazionale come una macchia per la reputazione del nostro Paese. Ma come allora, anche questa volta la vicenda giudiziaria sta andando verso il proscioglimento. Spiace che siano stati spesi tre milioni di euro di denaro pubblico per l’inchiesta, che una nave di salvataggio sia stata bloccata per sette anni, che i soccorritori abbiano dovuto affrontare un lungo e sofferto iter processuale. Molto istruttiva anche la seconda vicenda, relativa al finanziamento di tre milioni di euro che il governo italiano aveva disposto a favore dell’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) per realizzare dei rimpatri volontari assistiti (Rva) in Tunisia. Asgi, Associazione di Studi Giuridici sull’Immigrazione, protagonista di varie battaglie contro le discriminazioni ai danni di immigrati e rifugiati, aveva fatto ricorso insieme all’Associazione Spazi Circolari. Il Consiglio di Stato ha accolto l’istanza in via cautelativa, sospendendo il finanziamento, mentre spetterà al Tar pronunciarsi nel merito. Il punto è che i Rva sono una misura ragionevole a certe condizioni: che siano davvero volontari, che diano luogo a una reintegrazione sostenibile nei luoghi di provenienza, e che questi luoghi siano sicuri e in grado di consentire una vita dignitosa. La Tunisia di oggi non sembra rispondere a questi criteri, e i Rva affidati all’Oim, secondo il ricorso, mascherano in realtà delle espulsioni, coinvolgendo donne, minori, richiedenti asilo: le persone più meritevoli di protezione. Le due vicende dimostrano quanto la questione dei diritti dei migranti e di chi li soccorre sia oggi un campo di battaglia cruciale per la difesa dei valori democratici e umanitari. Che le spinte xenofobe trovino un argine nella magistratura e nelle forze della società civile è un principio di civiltà e una luce di speranza che rende un Paese migliore.
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