Caro direttore, nella notte tra domenica e lunedì, in un terribile incidente stradale sono morti due ragazzi della mia parrocchia. Un altro è in fin di vita, altri due sono meno gravi. Fino a qualche anno facevano i chierichetti. Domenica ho celebrato la Messa dei fanciulli, ma mi sono accorto di non farcela. I bambini erano tutti in lacrime. Serissimi. Silenziosi. Ho portato a termine la celebrazione con fatica, senza avere la forza di pronunciare l’ omelia. Ho chiesto poi a un mio confratello la cortesia di fare il cambio per la Messa delle 12. Sono andato a celebrare in un altro paese. Su
Avvenire leggo la lettera che ti ha indirizzato un lettore di Torre del Greco. Il signor Gentile si lamenta delle omelie domenicali che sovente sono un tantino noiose. Afferma poi che «spesso loro stessi ( i sacerdoti) arrivano scarichi alla Messa domenicale: è come se io mi presentassi a una festa con la faccia smorta». Mi fermo. Rifletto. Penso alla mia faccia. Oggi è più che smorta. Fosse per me andrei a rinchiudermi in casa, ma non posso, debbo celebrare. Chiedo perdono a Dio. Certo, se un sacerdote celebrasse una sola Messa, potrebbe esercitare un controllo migliore sul suo umore, sui suoi stati d’ animo. Potrebbe prepararsi meglio. Purtroppo non sono pochi i parroci che fanno appena in tempo a scendere dall’altare che vi debbono risalire. E a volte tra una Messa e l’altra si mettono a confessare. Non solo. Accade spesso che debbono passare da una situazione di gioia e di festa come la celebrazione di un battesimo, di un matrimonio o di Prime comunioni a un’altra di dolore e di sconforto come il funerale di un bambino, di una giovane mamma, di un papà. Certo, sanno di dover piangere con chi piange e ridere con chi ride. Non sempre è facile. La severa legge dell’incarnazione, direttore, vale anche per noi. Siamo uomini.
Può capitare, allora, che la morte di Genny e Enzo mi addolori così tanto da togliermi il sorriso. Da impedirmi di dire parole di gioia e di conforto. Chiedo aiuto. A chi se non ai miei fratelli? A chi se non a coloro che, con me e come me, vengono a dissetarsi alla fonte della vita? Siamo credenti come gli altri.
Siamo uomini che lottano per mantenersi fedeli. Come tutti abbiamo bisogno di una stretta di mano, di una parola di conforto, di amicizia, di comprensione. Ai fedeli laici vorrei chiedere: aiutateci a essere migliori. Pregate per noi. Stateci accanto. Consigliateci. Evitiamo di schierarci su opposti campi di battaglia. Siamo un solo popolo. Abbiamo un solo Signore. So bene che da un prete oggi si pretende molto. Deve sapere di filosofia e di teologia. Di letteratura e di politica. Deve essere aggiornato su tutto. Deve avere un carattere dolce e fermo. Deve essere pronto a dare la vita. Deve pregare molto. Avere il tempo per tutti. Deve saper parlare ai bambini e agli anziani. Agli intellettuali e agli ignoranti. Stare con chi soffre e con chi lo vuole a cena a casa sua. Tutti hanno ragione. A tutti siamo debitori. Ma per favore: aiutateci. La vostra santità ci inciterà a essere più santi. La vostra carità ci invoglierà a essere più buoni e caritatevoli. Le vostre critiche, se aspre e senza affetto, potrebbero farci rinchiudere in noi stessi. Siamo tutti chiamati a lavorare nel campo del Signore. Se qualcuno arranca, diamogli una mano. Se uno stoppino sta per spegnersi, soffiamoci dolcemente sopra.
Per favore pregate per i miei ragazzi. Ho unito in matrimonio i loro genitori, li ho battezzati, ho dato loro la Prima comunione. Non avrei mai pensato di dover celebrare il loro funerale. Anche un prete ha il diritto di commuoversi, piangere e non riuscire a balbettare una parola.