Comunali e Brexit: c’è altro oltre il dato generazionale Il rapido succedersi di due risultati elettorali, quello segnato dal successo dei candidati del Movimento 5 Stelle nei ballottaggi delle recenti elezioni comunali italiane, in particolare a Roma e Torino, e quello della vittoria di misura del fronte della Brexit nel Regno Unito, si prestano ad alcune considerazioni per certi versi convergenti sul rapporto tra centro e periferia nei sistemi sociali e politici. Molti osservatori e commentatori si sono soffermati sulla interpretazione di tipo generazionale, anche se con valenze differenti. Il Movimento 5 Stelle si è presentato, ed è stato presentato, come un movimento di giovani contrapposto a schieramenti e candidati più anziani e legati a gestioni del passato. Nel voto d’Oltremanica si è insistito nell’evidenziare il prevalere dei favori per il remain da parte dei giovani britannici (in buona misura non votanti) e l’appoggio dei più anziani all’uscita dall’Europa. Ma più che l’aspetto generazionale sembra aver giocato in realtà la collocazione centrale o periferica degli elettori nel sistema sociale e politico di riferimento. Lo si può dire per i neosindaci 5 Stelle, che hanno interpretato meglio di altri schieramenti le istanze delle periferie urbane e sociali (disoccupati, precari, ceti sociali svantaggiati, ecc.), anche indipendentemente dal fattore anagrafico. Lo si può sostenere per il fronte del Brexit, per il quale, stando alle informazioni per ora disponibili, sembrano aver votato non solo elettori delle classi di età più anziane, come sostenuto nell’ambito delle previsioni, ma anche – e forse soprattutto – i residenti in aree connotate da condizioni socioeconomiche più svantaggiate e anche più lontane, sia geograficamente sia idealmente, dal cuore pulsante della City di Londra. Se questo è vero, l’attenzione che occorre porre in chiave di ragioni dei vincitori, ma anche di analisi delle motivazioni della sconfitta per i perdenti e soprattutto di strategie per il futuro, va indirizzata verso le tematiche dell’integrazione, con tutti i suoi risvolti economici e sociali, da contrapporre alla polarizzazione. Il grande arcipelago culturale, sociale e politico dell’Europa degli ultimi decenni non ha evidentemente saputo trovare un terreno comune di incontro per le diverse anime del Vecchio Continente. Come annota Manlio Graziano, esperto di geopolitica italiano che vive in Francia, ci sono almeno 6 Europe storicamente distinte (la mediterranea, la bizantinoottomana, la carolingia, la prussiana, la asburgica e la britannica), che non hanno saputo intrecciare adeguatamente i propri interessi e le proprie tradizioni nel presente, e rischiano costantemente di scivolare verso il passato. Una situazione nella quale non meraviglia, quindi, che l’entità più divergente e più periferica rispetto alle dinamiche continentali, cioè quella britannica, sia la prima a dichiarare la propria insofferenza e a esprimere la volontà di staccarsi per recuperare la propria identità originaria. Ma anche in ambito italiano, si può dire che il fattore che ha giocato il ruolo più importante è stato la difficoltà a creare condizioni di maggiore integrazione, scambio e riequilibrio tra segmenti della società interni agli spazi del potere e del benessere acquisito e segmenti esterni e periferici, alla ricerca di maggiore sicurezza e benessere e di una propria e 'altra' rappresentanza nelle sfere del potere. La mobilità mostrata dall’elettorato e il 'coraggio' di certe scelte, come quella della Brexit, possono essere considerati segnali positivi in termini di voglia dei cittadini di rimettersi in gioco e di accettare le sfide di cambiamenti significativi, ma al tempo stesso è ben percepibile il rischio insito nel persistere di un ciclo di cambiamenti accelerati e senza vie d’uscita solide. Perché gli esiti del voto portino a un effettivo miglioramento della situazione, sia dal punto di vista generazionale sia soprattutto dal punto di vista della integrazione e della giustizia sociale, occorre che si punti in maniera convinta alla valorizzazione dei princìpi della inclusione sociale, del superamento di individualismi e particolarismi, della redistribuzione del potere e della ricchezza, della cooperazione e della costruzione di un capitale umano e sociale condiviso. Un programma forte e di mediolungo periodo da proporre in modo lineare e convincente a un elettorato fortemente e reattivamente concentrato sull’oggi. Una sfida tanto dura quanto inevitabile.