Essere uomini fino in fondo per vincere il terremoto Lo sappiamo, lo abbiamo sempre saputo, ne facciamo esperienza, ma ci sono giorni come questi in cui lo tocchiamo con mano, il mistero che avvolge e custodisce l’uomo. È qualcosa di grande, oserei dire immenso, l’uomo. Capace di sfidare i limiti e la natura. Di arrivare a toccare traguardi un tempo irraggiungibili. Capace di superare se stesso. Di mettere a repentaglio la sua vita per salvarne un’ altra. Lo stiamo vedendo in questi giorni. Ad Amatrice, ad Arquata, ad Accumoli, a Pescara del Tronto. Ogni tanto una telecamera riesce a inquadrarne qualcuno, di questi uomini volenterosi, onesti, coraggiosi di cui l’Italia non può che andare fiera. Di loro si parlerà sempre al plurale. Eppure hanno un nome e un volto, una storia e un famiglia. Uomini che fanno più bella questa nostra umanità. Che non badano agli affari. Che hanno rinunciato anche ai loro pochi giorni di vacanze. Che non contano le ore di lavoro. Mi commuovono questi uomini che meritano di essere chiamati uomini. Senza aggettivi. Il complimento più bello che si può fare a un uomo è definirlo semplicemente uomo. Dio stesso volle diventare uomo. Per salvare l’uomo, per andargli incontro. Per tirarlo fuori dalla trappola del peccato e delle insidie che incontra sul cammino. Uomini che corrono nei luoghi da cui verrebbe la voglia di scappare. In quei luoghi dove la morte mostra il suo volto arcigno e fa sentire il suo alito pesante. In quei posti dove non si balla, non si canta, non si fa baldoria, ma si piange. Ci si dispera. Quanto è grande e quanto è bello l’uomo. Tanto grande e tanto bello da incantare lo stesso Dio che dal niente lo volle chiamare in vita. E se ne innamorò. E non si smise mai di amarlo. E gli chiese di essere amato: «Figlio dammi il tuo cuore». Uomini ai quali è consentito di essere santi come il loro Dio è santo. Di essere perfetti come Lui è perfetto. A questi uomini vogliamo dire grazie. Purtroppo ci sono altri uomini che non donano ma pretendono. Non rischiano la propria vita per salvarne altre, ma, al contrario, mettono a repentagli la vita altrui anche solo per soddisfare un proprio capriccio. Che mistero l’uomo. Il terremoto è un evento terribile. Devastante. Dura solo una manciata di secondi ma ti segna per il resto della vita. Chi si è ritrovato un giorno prigioniero della casa che barcolla o cade non lo dimenticherà più. La scossa arriva all’improvviso, quando meno te l’aspetti. Come una iena silenziosa ti balza addosso a mezzogiorno o nel cuore della notte. E sempre si porta via qualcosa. A volte, senza ritegno, ha il coraggio di rubarti tutto: le cose, i ricordi, gli affetti. La salute, la speranza, la mamma, il figlio. Il futuro. Poi se ne va, lasciandoti mezzo morto e con il cuore a lutto. E tu devi riprendere a vivere e a sperare. Non è facile. «La vita continua … devi farti forza …» ti ripetono gli amici. Ed è vero. Ma la strada si inerpica in salita. E la salita è ripida e tortuosa, proprio come i tornanti devastati che portano ad Amatrice. Ed è ancora tanto lunga. E tu adesso hai paura. Quando il nemico è fuori, la casa è il luogo in cui corri a rifugiarti. La dimora dove ritrovi i tuoi libri, i ricordi della Prima comunione, le tue foto e quelle, ormai sbiadite, stampate in bianco e nero, dei nonni. I tuoi nonni, i vecchi dalle cui radici hai preso vita. La tua casa. Il santuario dove a nessuno è permesso di entrare senza chiedere il permesso. E sempre in punta di piedi. Quando il nemico è fuori, tu corri a casa. Nei momenti di sconforto, vuoi ritornare a casa. I nostri ammalati in ospedale, i nostri emigrati desiderano ritornare a casa. La tua casa. Il tuo paese, dove una campana antica canta felice un giorno e il giorno dopo geme. Dove i nostri morti dormono il sonno della pace. Non sarà bella come quella dei potenti, non grande e confortevole come quella dei ricchi, ma tu non la cambieresti la tua casa. Ogni casa ha un profumo particolare, originale, unico. Quando il nemico è fuori, tu corri a rintanarti in casa. Il terremoto è un disastro. È maleducato, incivile, selvaggio, il terremoto. Non conosce regole. Non guarda in faccia a nessuno, non ha rispetto per nessuno. Non gli importa se la bambina nella culla ha otto mesi appena, o il nonno è tanto vecchio e malandato da non potersi mettere al riparo. Non gli importa se sei capitato in quel paese solo per caso o, se sei un’anima consacrata a Dio. Come un forsennato ti scaraventa addosso la sua forza brutale. Come se fosse la sberla di un gigante. In casa tua. Nel santuario dove a nessuno è permesso di entrare nel cuore della notte. Nel luogo dove sei più vulnerabile. È vigliacco, spietato, traditore il terremoto. Ti colpisce alle spalle quando sei distratto, quando già ti sei messo a letto, quando stai pensando a rimboccare le coperte ai tuoi bambini. Non ti lascia nemmeno il tempo di preparare la difesa. Ha in odio la bellezza, l’armonia delle mura e dei portali, le facciate delle chiese, le punte dei campanili, il terremoto. Ha un gusto spiccato per tutto ciò che è brutto. Tutto trasforma in una montagna di detriti. Polvere, fango, sassi la dove prima sorgeva un palazzo antico, una fontana o un arco medievale. Morte violenta la dove un minuto prima scoppiava la gioia della vita. Coraggio e vita, miseria e morte. Generosità e avarizia. C’è chi spoglia se stesso per vestire gli altri e chi spoglia gli altri per vestir se stesso. E noi sempre a scegliere con chi vogliamo stare. Gli italiani sanno essere solidali nei momenti di dolore. Dimenticano le antiche diatribe e si riscoprono fratelli. Si stringono le mani, si guardano negli occhi, piangono abbracciati. Questi sono valori troppo preziosi per lasciarli spegnere con l’andare del tempo. Occorre che siano custoditi. Niente deve andare perduto del desiderio e del bisogno di solidarietà che in questi giorni ci affratella. Non l’emozione di un momento deve spingerci all’azione ma la consapevolezza che chi soffre merita di essere messo al centro. Sempre. Chiunque sia. Ovunque si trovi. Purtroppo ogni terremoto ha portato con sé polemiche e confusione. Litigi e ruberie. Dopo i giorni dell’emergenza verrà il tempo del silenzio. L’inverno è alle porte e su quei monti il freddo si fa pungente. Occorre fare in fretta. I superstiti non debbono essere dimenticati. E sulle spalle dei terremotati nessuno si permetta – come purtroppo è successo tante volte nel passato – di pensare di fare affari e soldi. Quel denaro è macchiato di sangue innocente. Unicuique suum. A ciascuno il suo. Sperando che Amatrice, Arquata, Pescara del Tronto e Accumoli possano rinascere negli stessi posti dove li costruirono i padri. Al terremoto che tanto ci devasta non dobbiamo permettere di portarci via anche la storia. E per il futuro, che si faccia di tutto per arrivare prima. Abbiamo pianto troppo e troppe volte. È giunto il momento di fare sul serio per prevenire i prossimi terremoti che, lo sappiamo, ci saranno. Gli strumenti ci sono. Il denaro anche. Se solo impariamo a essere onesti, ad avere a cuore il bene comune, la vita e la serenità dei cittadini e di noi stessi, è possibile.