Il compito più urgente
giovedì 13 luglio 2023

Il vertice della Nato a Vilnius ha alimentato forti aspettative che non potevano essere realizzate. Il copione più plausibile è stato invece rispettato nei dettagli. Per l’Alleanza era e rimane impossibile accogliere l’Ucraina come membro effettivo già oggi, perché ciò significherebbe l’entrata in guerra contro Mosca sulla base degli accordi di mutua difesa. I toni forti usati dal presidente Zelensky nel protestare contro l’assenza di una data precisa per l’adesione rientrano nel comprensibile tentativo di Kiev di ottenere sempre il più possibile al fine di alimentare la resistenza all’invasione russa.

Il messaggio arrivato dagli ormai trentadue membri dell’organizzazione (dopo l’annunciato via libera turco e ungherese all’ingresso della Svezia) è tuttavia che il Paese aggredito per decisione di Vladimir Putin il 24 febbraio 2022 è più che mai vicino ad essere accolto – probabilmente appena terminerà il conflitto – e che il sostegno militare resterà massiccio e costante. Nulla di nuovo in apparenza. Ma un paio di dichiarazioni rilasciate a margine da protagonisti minori della crisi indicano i nodi che non sono stati sciolti e che vanno invece urgentemente affrontati.
Ha scritto su Twitter il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak: saremo un giorno nella Nato, ma intanto il futuro e la sicurezza dell'Europa sono nelle nostre mani. C’è del vero in questa affermazione che può sembrare esagerata e supponente. La Ue più che gli Stati Uniti (i due assi dell’Alleanza atlantica) ha investito di necessità e sta sopportando le ripercussioni di una guerra che il Cremlino ha portato alle sue frontiere e il suo coinvolgimento sta avendo ripercussioni che non possono essere in alcun modo sottovalutate.

Anche se gli indicatori economici sono in risalita, il problema gas sembra lontano nell’estate bollente e prevale la naturale tendenza umana ad abituarsi persino ai drammi più dolorosi prolungati nel tempo, non possiamo distrarci dal cercare una via di uscita dal conflitto che sia giusta, realistica e destinata a creare equilibri stabili. Putin non può vincere, le ostilità, però, non possono durare ancora a lungo per motivi di sostenibilità economica e politica, e prima ancora per il carico di lutti e distruzioni che producono in Ucraina.

La controffensiva di Kiev non sta dando i risultati sperati, almeno per il momento. E i sommovimenti interni a Mosca hanno fatto intravedere i rischi di una transizione caotica di regime in un contesto nel quale si agitano “falchi” che minacciano di usare le armi nucleari per ottenere il successo definitivo della “operazione militare speciale”. La Nato può tenere Kiev alla porta. Tuttavia, non può negare il suo pieno impegno e ugualmente dovrà lasciare prima o poi il campo alla diplomazia per un accordo che metta fine ai combattimenti.

Qual è il piano? A Vilnius non se ne è visto cenno, almeno ufficialmente. Perché il punto è proprio la difficoltà di proseguire nelle modalità attuali. Gli arsenali europei si vanno svuotando e le opinioni pubbliche si potrebbero stancare. Qui si inserisce la seconda dichiarazione rivelatrice, proveniente peraltro da uno dei più risoluti sostenitori della causa ucraina fin dalla prima ora, il ministro della Difesa britannico Ben Wallace, il quale ha detto apertamente, riferendosi alle irate lamentele di Zelensky: “La gente vuole vedere gratitudine”. Non si sta evidentemente parlando di un minuetto di buone maniere e di frasi cerimoniose, ma di dosare le risorse e di comprendere da entrambe le parti che c’è un interesse comune nel fermare Putin ma anche nel gestire la situazione in modo sostenibile e avveduto. Zelensky e il suo popolo affrontano certo una “guerra esistenziale” e in qualche misura l’hanno vinta, in parte significativa grazie al sostegno della Nato, perché il blitz che doveva prendere la capitale e rovesciare il governo è fallito e verosimilmente non sarà ripetuto. Riconquistare tutti i territori occupati (circa il 15% del Paese) più la Crimea sembra invece impresa oggi di estrema difficoltà. A oltre 500 giorni dall’inizio dell’aggressione russa, la sicurezza europea è (anche) in mani ucraine e la gratitudine che è dovuta va tradotta in una strategia condivisa per fare di nuovo dell’Europa allargata a Kiev un luogo sicuro, casa della democrazia e dei diritti, pronta a difendersi eppure non in perpetuo conflitto con le autocrazie ai suoi confini. Un compito che si fa sempre più urgente per la causa della pace e della giustizia e che spetta all’Italia quanto a tutti gli alleati a fianco dell’Ucraina.

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