martedì 2 luglio 2024
Dal punto di vista calcistico forse ne usciremo quando le seconde generazioni saranno integrate portando in dote qualità atletiche, tecniche e anche di “desiderio”, come è successo in Francia
Nazionale azzurri eliminati dagli Europei

Nazionale azzurri eliminati dagli Europei - ANSA

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«Sepolcri imbiancati». Devo scomodare, per parlare di calcio, l'invettiva contro scribi e farisei, accusati di essere ipocriti come le tombe imbiancate che fuori appaiono belle e pulite, ma all'interno sono piene di ossa e liquami. Il problema del calcio italiano e, di conseguenza, della Squadra nazionale, ha compiuto la maggiore età: ha 18 anni di storia alle spalle ed è ipocrita valutare il presente sulla base degli ultimi novanta minuti. L’Italia calcistica è questa dal 2007 e più che fingersi sorpresi per quello che è successo in Germania, sarebbe più onesto sorprendersi per quello che successe nel 2021, quando una combinazione di fattori, alcuni casuali - nulla toglie alla spedizione azzurra di allora - portarono l’Italia a vincere l’Europeo, come la Danimarca del 1992 o la Grecia nel 2004.

Vincere una volta è possibile e non è certo una colpa. Diciotto anni di mediocrità, invece, sono una colpa. Siamo diventati il quinto campionato europeo per valori tecnici e la storia dell’unico giocatore di movimento che esce a testa alta da questo Europeo, Riccardo Calafiori, racconta un paradosso: un talento che in tre stagioni intere di serie A, due con la Roma e una con il Genoa, mise insieme tredici presenze da titolare e che per giocare un intero campionato da protagonista è dovuto andare, ironia della sorte in Svizzera, al Basilea, per poi esplodere nella scorsa stagione al Bologna. I nostri club che fanno strada in Europa giocano mediamente con nove undicesimi di calciatori stranieri, e i due italiani sono generalmente comprimari.

Tutto ciò, viene confezionato dalla Lega Calcio di serie A e dei proprietari dei club (la cui stragrande maggioranza oggi non è riconducibile a una persona, ma a un fondo i cui risultati ovviamente si misurano in tutt’altro modo e non collimano certo con l’interesse per la Squadra nazionale) in una post-verità utile a vendere il proprio prodotto, ma ormai non più ascoltabile. A poco serve avere le nazionali U17 e U19 campioni d’Europa, l’U20 vicecampione del mondo se nessuno di quei giovani, sottolineo nessuno, gioca nel nostro massimo campionato, mentre la Lega Calcio non perde occasione per lagnarsi della stretta sul “decreto crescita”, ovvero i vantaggi fiscali che per anni si sono ottenuti tesserando atleti stranieri, inclusi quelli scarsi (tantissimi) il cui solo merito era di offrire ai loro club un beneficio fiscale rispetto.

Per una nazionale forte non servono duecento giocatori eleggibili, ma una ventina che però siano assoluti protagonisti nei migliori campionati. Nessuno sconto sulle responsabilità di Luciano Spalletti, ma nessun dubbio sulle sue qualità di allenatore. Pensare alla sua idea di “calcio dominante” e guardare Italia-Svizzera di sabato mette i brividi, ma la sua responsabilità è probabilmente quella di aver sottovalutato la grande differenza fra allenare un club ed essere il CT di una nazionale, mestieri all’apparenza simili, ma profondamente diversi nella realtà.

Dal punto di vista calcistico forse ne usciremo quando le seconde generazioni saranno integrate totalmente portando in dote qualità atletiche, tecniche e anche di “desiderio”, come è successo in Francia, Inghilterra, Germania, o più semplicemente alla nostra nazionale di atletica leggera. Sarebbe opportuno, nel frattempo, cercare un obiettivo comune, una strada che permetta a Lega e Federazione di trarre un mutuo vantaggio, perché, ed è perfino banale sottolinearlo, una Squadra nazionale forte aiuta il campionato e un campionato forte aiuta la Squadra nazionale.

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