martedì 11 luglio 2023
Il futuro di Kiev è nell'Alleanza, mancano i tempi certi. Zelensky protesta. La Francia manda missili a lungo raggio. Ora bisogna arrivare alla fine del conflitto garantendo sicurezza al Paese invaso
Il vertice Nato a Vilnius

Il vertice Nato a Vilnius

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La guerra in Ucraina è arrivata al giorno 503, segnato dall’avvio del vertice Nato e da numerose notizie che rendono lo scenario del conflitto ancora più intricato. Il futuro di Kiev è nell’Alleanza Atlantica, l’annuncio che arriva da Vilnius anche se il presidente Volodymyr Zelenski si era fatto precedere da un "è inaudito e assurdo" non avere un calendario per l'adesione del Paese.

La risposta è arrivata a stretto giro dal segretario generale, Jens Stoltenberg: “Quello che hanno concordato gli alleati è un messaggio positivo, forte e unito all'Ucraina di sostegno duraturo, ma anche un messaggio positivo per il percorso verso l'adesione. Esso include il pacchetto di sostegno pratico per consentire la piena interoperabilità tra le forze armate ucraine e quelle della Nato, lo stabilimento del Consiglio Nato-Ucraina e la decisione di rimuovere il requisito di un piano d'azione per l’ammissione, ciò significa che invece di due passaggi per diventare membri della Nato, ne basterà uno".

Di tempi ancora non si parla, ma il calendario è evidentemente condizionato dall’andamento del conflitto perché, come ha ribadito Biden con tutta la sua Amministrazione, e come hanno concordato in molti, non è possibile l’ingresso nell’Alleanza di un Paese belligerante. Significherebbe automaticamente il coinvolgimento di tutto il dispositivo militare in appoggio al nuovo arrivato. Ed è qualcosa che nessuno vuole oggi mettere in conto.

Il cammino appare segnato dal punto di vista politico e per la Russia il bilancio non potrebbe essere peggiore, dato anche il via libera all’adesione di Stoccolma dopo la caduta del veto posto dalla Turchia (ricompensata dalla fornitura di F16 americani). L’accerchiamento di Mosca si concretizza quindi proprio per le mosse di Putin, che ha attaccato un Paese ben lontano dall’essere ammesso nell’Alleanza e aveva due nazioni storicamente neutrali come Finlandia e Svezia a fare da cuscinetto a Nord. Oggi si ritrova invece completamente isolato a Occidente.

Il punto pratico da dirimere è oggi il modo di strutturare le misure di sicurezza per Kiev. La fornitura di armi non si fermerà, ma nemmeno si arresterà l’azione russa che, anzi, vede nel prolungamento delle ostilità, anche in forma attenuata, la garanzia che la situazione resti fluida e la Nato non cristallizzi il suo nuovo assetto. Tale svolta sancirebbe la sconfitta politica definitiva del Cremlino e della sua operazione militare speciale. Per cui Mosca ha tutto l’interesse a tenere aperto il conflitto, pur a bassa intensità.

Come dunque avvicinare una tregua in termini favorevoli all’Ucraina? La Francia ha dato un segnale inviando, a sorpresa, missili a lungo raggio per le truppe che tentano la riconquista di territori. Macron ha annunciato che è già partita la consegna di un numero significativo di vettori da crociera Scalp, che saranno portati da aerei da guerra non occidentali. I missili, che possono raggiungere i 250 km di gittata, saranno utilizzati solo all'interno dei confini dell'Ucraina riconosciuti a livello internazionale. Parigi non la considera un'escalation, dato che la Russia sta lanciando razzi con una gittata molto più ampia. Gli Scalp, tuttavia, sono i vettori con la portata più ampia finora concessi a Kiev.

Mosca protesta e annuncia contromisure. Ma sul campo i due fronti per ora non si spostano di molto. Le truppe che sono al contrattacco annunciano nuove conquiste nella zona di Bakhmut, dove le forze russe sarebbero quasi circondate nella città. Ma i comandi degli invasori rivendicano avanzate a Est, proprio nelle stesse ore in cui un’inchiesta giornalistica ha stimato in 47mila i caduti della Federazione nei 500 giorni di combattimenti. Numeri ben più bassi di quelli diffusi costantemente dalla propaganda ucraina (oltre 100mila morti), ma certamente drammatici in sé e tali da avere un impatto sull’opinione pubblica del Paese, tenuta sempre all’oscuro del reale bollettino di guerra.

D’altra parte, è sempre più difficile decifrare ciò che accade nelle segrete stanze del Cremlino. Si è appreso in via ufficiale che Putin ha incontrato Prigozhin e decine dei suoi ufficiali il 29 giugno, 5 giorni dopo l’ammutinamento della Wagner in rivolta proprio contro il presidente e i suoi ministri e generali. Invece della punizione minacciata mentre la brigata mercenaria marciava verso Mosca, si è arrivati a un colloquio paritario tra le mura della presidenza. Quanto è saldo lo Zar? Quanto deve concedere a chi ha l’ardire di sfidarlo in una fase che potrebbe essere di acuta debolezza?

Il momento sarebbe propizio anche per il fronte occidentale: tentare una manovra politica che possa aumentare l’isolamento internazionale di Mosca e la forzi a fare concessioni. Erdogan nel suo piccolo ha dato l’esempio: pur continuando a dialogare con il Cremlino, ha violato l’intesa sui capi dell’Azovstal, che sarebbero dovuti rimanere in Turchia e sono al contrario rientrati in patria da eroi con Zelensky.

Da Vilnius emerge la fermezza nel non permettere alla Russia di rivendicare la conquista di territori in violazione del diritto internazionale. Resta il dilemma su come portare fino in fondo il percorso senza allargare o prolungare indefinitamente il sanguinoso conflitto nel cuore dell’Europa.

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