E rano in due milioni ad attenderlo nel gelo del Mall di Washington. Non si aspettavano probabilmente di essere rassicurati sulla situazione del Paese, forse attendevano che il presidente li elettrizzasse o li commuovesse con la retorica di cui si è dimostrato capace in campagna elettorale. Invece, Barack Obama, primo presidente di colore degli Stati Uniti, ha vestito subito l’abito sobrio e rigoroso del capo di quella che non ha esitato comunque a definire la nazione «più potente e più prospera della Terra». L’America è nel mezzo di una crisi, in guerra contro il terrorismo e colpita duramente nella sua economia. La gente ha scelto la speranza al posto della paura, ma le sfide sono quelle dei momenti più tempestosi che hanno segnato e irrobustito il Paese. Servono unità, sacrifico, azioni rapide ed efficaci, perché nulla è perduto della forza e dei valori fondanti degli Stati Uniti. E allora si tornerà a crescere e le reti dell’odio e della violenza saranno sconfitte. Intessuta nell’ottimismo, nei richiami agli snodi della storia patria e nella narrazione della cittadinanza come sforzo e lotta contro il male che l’assedia – elementi che a noi europei possono apparire ingenui ma che sono la forza della democrazia Usa –, dal discorso inaugurale del nuovo capo della Casa Bianca è emersa un’agenda non 'rivoluzionaria' né sorprendente, eppure ricca di elementi significativi. Bisogna ricostruire l’America indebolita «dall’avidità e dall’irresponsabilità di alcuni » e «dall’incapacità diffusa di compiere scelte difficili e prepararci a tempi nuovi». Non è tempo di essere pro o contro lo Stato, pro o contro il mercato, ha detto Obama. Tuttavia, il mercato va sorvegliato affinché non deragli e chi maneggia soldi pubblici deve renderne conto, agendo alla luce del sole. Niente di simile al 'socialismo' paventato da molti repubblicani. Anche sulla sanità solo un cauto invito a aumentare la qualità riducendo i costi. Come dire, la situazione richiede lavoro duro e poche concessioni a grandi riforme. Soltanto su energia e ambiente è annunciata una discontinuità con l’Amministrazione precedente: fonti rinnovabili e stop al riscaldamento globale. Il maggior mutamento sembra leggersi sul versante internazionale. Non certo nei toni inflessibili verso chi minaccia gli Stati Uniti – «non ci scuseremo per il nostro stile di vita» –, ma per l’annunciata volontà di dialogo tanto con i Paesi che cercano pace e dignità quanto con quelli che saranno disposti ad allentare le loro politiche autoritarie. Garantire la sicurezza senza tradire gli ideali significa anche – implicitamente – dire no a Guantanamo, alla torture, ai sequestri dei sospettati, mentre si lascia l’Iraq agli iracheni e ci si concentrerà sull’Afghanistan. L’invito al mondo musulmano per una nuova partenza nelle relazioni, basate su interesse e rispetto reciproci, segna poi una delle novità del discorso inaugurale, che dovrà trovare meno generica attuazione. Si apre un’era di responsabilità, ha affermato Obama. Il mondo ci guarda, aveva detto la senatrice Feinstein all’apertura della cerimonia. Non è cinismo sottolineare che le attese di un grande mutamento possano essere eccessive. Non è un caso che si sia perfino sostenuto che la maggiore eredità di Bush è proprio il nuovo presidente. Le differenze di vicende personali, carattere e visioni danno infatti l’illusione di una svolta che non è all’orizzonte. Di certo oggi c’è il sogno americano che si rinnova e, a partire dalla solennità partecipata delle celebrazioni, ritrova, come ha sottolineato il Papa, «nella sua forte eredità politica e religiosa i valori spirituali e i principi etici per cooperare alla costruzione di una società veramente giusta e libera». L’auspicio a dare priorità ai poveri ha avuto riscontro nelle parole del presidente a favore degli affamati del mondo. Un impegno da verificare come, d’altra parte, resta l’incognita delle scelte sul fronte della tutela della vita, richiamata proprio ieri dai vescovi Usa. Anche, o soprattutto, in questo ambito si declina la speranza di cui il Pianeta ha bisogno e di cui Obama si vuole fare interprete.