giovedì 20 giugno 2024
Nel post-voto europeo tutti i nodi arrivano al pettine. E per il governo Meloni, dopo 19 mesi di navigazione tutto sommato relativamente tranquilla, è giunto il momento di spingersi in mare aperto
Giorgia Meloni alla Conferenza di Lucerna

Giorgia Meloni alla Conferenza di Lucerna - Reuters

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Tutto in 48 ore: dopo la cena di lunedì (infruttuosa per ora) fra i leader sulle nomine ai vertici Ue, in rapida successione è arrivata la prova di forza della maggioranza di destra-centro col primo sì al premierato (pasticciato) all’italiana e il via libera finale – e nottetempo! – alla non meno ingarbugliata autonomia regionale differenziata. Per ultimo, lo scontato avvio da parte della Commissione Europea della procedura contro l’Italia (e altri 6 Paesi) per l’alto deficit. E non è da escludere che il sì al dossier autonomia sia stato anticipato in tutta fretta proprio per tentare di oscurare la cattiva notizia in arrivo da Bruxelles

È dunque scoppiettante questo post-voto europeo in cui, come previsto, tutti i nodi arrivano al pettine. E per il governo Meloni, dopo 19 mesi di navigazione tutto sommato relativamente tranquilla, è giunto il momento di spingersi in mare aperto e di dimostrare le proprie reali capacità. Sarà difficile portare a casa tutto: qualcosa dovrà essere lasciato per strada. E il “cosa” e il “come” decideranno le sorti prossime del Paese.

Forte della conferma uscita dalle urne, la premier e leader di Fdi ha deciso di ripartire a passo di carica sulle riforme (è in ballo pure la separazione delle carriere dei magistrati, cara a Fi), i provvedimenti che più segnano la natura politica di questa coalizione. Senza riservare sufficiente tempo al dialogo con le altre parti e, anzi, marcando il territorio con prove di forza che hanno sprofondato i lavori parlamentari in scene di rissa definite ieri dal Presidente Mattarella «indecorose». Non bastasse, a complicare il quadro, il tutto avviene in una fase in cui Meloni è chiamata a una qualche definizione della sua eterna doppia natura: troppo moderata per i suoi amici europei, da Orban a Morawiecki (e ora incalzata da un’esuberante Le Pen), e troppo estrema per gli altri, in Italia come in Europa (vedi Scholz).

Delle riforme già molto si è scritto. In una graduatoria delle preoccupazioni preventive, il premierato prevale rispetto a un’autonomia che, in qualche modo, già esiste per la sanità (dove la gestione dei fondi è oggi sui territori, decentralizzata) e per la quale potrebbe essere meno ostico adottare correttivi in corsa, capaci di attenuarne gli effetti negativi. Rimangono alti, però, i rischi di un'ulteriore spaccatura del Paese e di un potenziale deflagrante. E resta da sperare che le già annunciate, dalle opposizioni, iniziative referendarie non inaspriscano ancor più il clima facendo alzare i toni (si può parlare davvero di “democrazia sotto attacco”?) e minando la coesione nazionale. Quanto alla finanza pubblica, è il caso di dire che i conti presentano il conto. Se è vero che la premier potrà trovare una qualche soluzione “accomodante” proprio in sede europea (si vocifera di un occhio di riguardo da Bruxelles, con annessa designazione di un commissario italiano “di peso”, in cambio di un tacito via libera alla rielezione della Von der Leyen), resta il fatto che le questioni nascoste dietro la procedura avviata ieri, dopo la lunga pausa della pandemia, richiedono una nuova elaborazione delle politiche nazionali. Anche perché, collegata, c’è un’altra questione che ci vede con il cappello in mano a Bruxelles: la richiesta di una proroga della scadenza, oggi fissata a fine 2026, dei programmi finanziati con i fondi del Pnrr, visto che abbiamo speso finora nemmeno 50 dei quasi 195 miliardi a disposizione.

Ricette magiche non esistono. C’è sicuramente da mettere in buona forma uno Stato “appesantito”, con 1.100 miliardi di spesa in larga parte poco produttiva, i cui margini ora diverranno ben più ristretti e "frenati" (per questo si potrebbe valutare anche la rinuncia a qualcuna delle misure finora finanziate una tantum). Al tempo stesso serve però l’accortezza di prendere le misure al problema demografico, che si farà sempre più incalzante, e di salvaguardare, insieme al Sistema sanitario nazionale, le vere sacche di povertà del Paese. È un compito enorme, da legislatura intera, che richiede una cultura di governo “piena” e non di parte, che si fatica a scorgere. Per di più in un contesto internazionale destinato a imporre obblighi forse ancora incogniti. Da qualche parte occorre cominciare, certo. Ma importante è pure sapersi correggere in fretta, se e quando si imbocca una direzione sbagliata.

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