La notizia dei bombardieri russi che decollano da basi iraniane per colpire Daesh in Siria è probabilmente un’immagine di grande impatto simbolico, ma che aggiunge poco alla realtà dei rapporti fra Russia e Repubblica islamica dell’Iran. La convergenza fra questi due Paesi ha infatti radici ben più profonde e ampie che la semplice alleanza militare per sostenere il regime di Damasco.A Teheran, i gruppi conservatori hanno guardato alla Russia post-comunista come a un "protettore" politico naturale contro l’ostilità statunitense: Mosca rifornisce l’Iran di armi ad alta tecnologia, ha cercato di mitigare le richieste di Washington durante le trattative sul nucleare, ha continuato a rafforzare i rapporti economici anche nel periodo delle sanzioni, condivide il medesimo interesse nel veder indebolito il peso strategico occidentale in Medio Oriente e nell’Asia centro-meridionale. Lo scoppio della guerra civile in Siria ha offerto un ulteriore elemento di convergenza, quello di garantire la continuità politica a Damasco. Anche se è evidente come per la Russia la vicenda siriana sia meno cruciale di quanto lo sia per l’Iran, per il quale la caduta del regime alawita degli Assad e la vittoria delle milizie sunnite radicali sponsorizzate da Turchia e Paesi del Golfo rappresenterebbero una seria catastrofe strategica.Detto più brutalmente: se Teheran difende a spada tratta il crudele dittatore di Damasco poiché la sua sicurezza geostrategica dipende anche da Assad, Mosca sembra guardare più al processo diplomatico generale e non fa mistero di non opporsi a un accordo che porti a una transizione politica controllata. Ma chi spera che questa diversità porti a una frattura, si culla in improbabili illusioni: ora che il regime siriano è più forte e i suoi oppositori o più deboli o impresentabili per via della loro ferocia e del loro fanatismo religioso, difficile immaginare che Putin vanifichi anni di costoso sostegno militare abbandonando la partita siriana. A meno di grandi accordi con l’Occidente (Ucraina e fine delle sanzioni alla Russia) che attualmente sono inimmaginabili.La "relazione speciale" fra Iran e Russia è in crescita anche a livello di interscambio economico, con un aumento degli scambi commerciali del 70% quest’anno, e a livello diplomatico. Ma qui il discorso si fa più complesso: se appare chiaro l’interesse di Mosca nell’incrementare i legami economici e politici con Teheran, in Iran le profonde fratture politiche interne si riverberano anche sui rapporti con l’estero. Non è un mistero che il governo del presidente Rohani e il suo ministro degli Esteri Zarif guardino soprattutto a Ovest: il loro obiettivo è il pieno reinserimento del Paese nelle relazioni internazionali, con Usa e Europa in particolare.Un obiettivo avversato dai conservatori e dai pasdaran. Il leader supremo, ayatollah Khamenei, in questi mesi ha sistematicamente indebolito la politica governativa di apertura verso occidente, tanto – secondo alcune voci – da spingere Zarif a offrire le proprie dimissioni. Khamenei, si sa, detesta e diffida di tutto ciò che viene da Europa e Stati Uniti: per lui è difficilmente tollerabile la passione occidentale del suo governo di «amerikani», come vengono etichettati dagli ultra-conservatori. Ma per pasdaran e per la loro rete oscura e clientelare di società economiche, l’apertura dell’economia iraniana significherebbe la fine dei lucrosi affari e delle speculazioni che il periodo di sanzioni ha fatto fiorire.Molto meglio quindi l’asse con il Cremlino e con le imprese russe, che non brillano per trasparenza, tanto più se questa alleanza permette l’arrivo di sistemi d’arma altamente tecnologici e offre garanzie di un "veto amico" all’interno del Consiglio di sicurezza Onu. Tuttavia, già in passato Mosca ha dimostrato di ritenere l’Iran un partner importante, ma non di valore strategico assoluto, soprattutto quando in Iran predominano le fazioni politiche più aggressive. Una lezione che non tutti, a Teheran, sembrano aver pienamente compreso.