Teofilo Sanson era un grande imprenditore dei gelati, sportivissimo: aveva scoperto Eddy Merckx e, appassionato di ciclismo, decise di farsi una squadra capitanata da Francesco Moser, la Sanson: poi, visto il successo pubblicitario della sua idea, acquistò l’Udinese, la portò dalla C alla A, e pensò di sfruttarne lecitamente il nome. Nel calcio. Impossibile. L’etica di quel tempo – era la fine dei Settanta, mille anni fa – lo impediva.Teofilo Sanson era anche un amico e aveva deciso di farsi alleato di una campagna – «I promessi sponsor» – che avevo lanciato sul 'Guerin Sportivo' per consentire alle squadre di far fronte alla crisi economica del settore mettendo il nome di uno sponsor sulle maglie. Vietato. Ma un giorno mi chiamò: «Domenica guarda l’Udinese». E la Bianconera del Friuli scese in campo esibendo un gesto di disobbedienza: il nome dello sponsor, Sanson naturalmente, non sulle maglie ma sulle mutandine. Un clamoroso spot pubblicitario che costò a Sanson sul piano economico e disciplinare; ma anche una geniale mossa decisiva: dopo pochi mesi il Perugia di un altro grande presidente, D’Attoma, scese in campo con un marchio sulle maglie, 'Pasta Ponte'. E fu storia. Ho ripensato a quei giorni, alle polemiche successive a quella 'scandalosa' vicenda, quando ho appreso anch’io – con un senso di colpa – che la Federcalcio ha deciso di dare un 'premium sponsor' alla Nazionale; non un gelato, non un maccherone: una multinazionale di scommesse e di slot machine. Una scelta indecente che viene giustificata perché «altri lo fanno», la stessa motivazione che ha consentito l’ingresso trionfale delle agenzie di scommesse calcistiche sulla scena italiana con la scusa di debellare il gioco illegale, in realtà sempre più ricco. «Lo fanno gli inglesi», ci fu detto; gli sportivissimi, correttissimi inglesi che in queste ore hanno scoperto l’esistenza di una rete corruttiva che coinvolge anche il ct dell’Inghilterra, Allardyce, licenziato dopo aver rivelato che qualcosa – segnatamente il gioco d’azzardo – aveva rotto l’incantesimo di un gioco grande, bello, pulito. In Italia era già successo da anni, nel 2011, con il primo caso 'Scommessopoli' finito nel Tribunale di Cremona dopo aver portato alla luce inganni e cialtroni; e anche un piccolo eroe, Simone Farina, giocatore del Gubbio prima applaudito per la sua coraggiosa denuncia degli imbrogli, poi dimenticato. Da allora il calcio non è più lo stesso e tacciono anche i moralisti che nel 2006 non volevano Buffon ai Mondiali «perché scommetteva»; i suoi soldi, lecitamente, eppure compromettendo la propria immagine di campionissimo.È possibile che tutti questi precedenti e la lunga serie di reati rivelati, ma non ancora puniti, siano stati ignorati dalla Federcalcio e dalle istituzioni di controllo? È possibile che non ci si renda conto, là dove si può quel che si vuole, che la credibilità del calcio sta drammaticamente scemando? Tanto vale aggiungere alle severe norme di comportamento, elencate nel Codice di Giustizia Sportiva, un codicillo:
pecunia non olet. Altro che la moviola in campo.