Tra i molti temi significativi toccati ieri dal cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione ai lavori del consiglio permanente della Cei, un posto di grande rilievo ha avuto la crisi che investe l’economia mondiale e che sta facendo sentire i suoi effetti anche nel nostro paese. Con una lucida analisi il presidente della Cei ha evidenziato che essa è stata dovuta «all’ingordigia di guadagni i più consistenti possibile nei tempi più brevi» e alla «contagiosa euforia del vivere al di sopra delle proprie possibilità». «Ora – ha aggiunto – è facile che gli effetti più dolorosi si riversino soprattutto su quella parte di popolazione che in realtà non ha mai scialacquato, e che già prima era in sofferenza per una cronica ristrettezza economica». E, a questo proposito, il presidente della Cei si è soffermato, in termini molto concreti, sulle conseguenze dell’attuale situazione sul bilancio già magro delle famiglie meno abbienti, soprattutto in rapporto alle esigenze dei figli. Siamo davanti alle conseguenze inesorabili di un vizio di fondo del nostro sistema. A questo proposito il cardinale ha citato l’interrogativo recentemente posto dal Papa: «Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e illuminante?». Ma, aggiungeva, «sarebbe un guaio ancora peggiore seminare panico e uccidere la speranza». Bisogna avere fiducia. A patto di rendersi conto che questa situazione difficile contiene un insegnamento profondo nel senso della solidarietà: «Guai se si insinua un meccanismo di chiusure reciproche, che accentuano le solitudini e lasciano nell’abbandono i più bisognosi di aiuto. Non se ne esce da soli: da questo, come da altri momenti difficili, si può uscire solo insieme». Con questo, però, si guarda al di là dell’aspetto puramente materiale della crisi in atto. Certo, esso non va sottovalutato. «Bisogna tuttavia saper andare oltre la fenomenologia di tipo finanziario o economico, per scorgere il volto meno immediatamente visibile, ma non meno gravido di conseguenze per la vita nostra personale e dell’intera società: l’involuzione antropologica ed etica». Da questo punto di vista, osservava il presidente della Cei, non ha tutti i torti chi sostiene che «la crisi potrebbe diventare un’opportunità». Essa può costituire l’occasione per recuperare «la capacità e il gusto del risparmio, della misura, del non spreco, dei consumi sostenibili». In questo senso, essa potrebbe rivelare anche delle «virtualità educative» e insegnare che «occorre educare le emozioni, impegnarsi sulle virtù personali e sociali, dar valore 'anche' all’anima». Solo così sarà possibile «raddrizzare le scelte da compiere nei vari ambiti, comprese quelle economiche». Questa dimensione educativa, peraltro, chiama in causa la scuola, quella di tutti. «La scuola e l’università hanno diritto di attendersi dal Paese il meglio, in termini di premura morale, di attenzione vigile, di risorse concrete» e di poter contare su «docenti e dirigenti preparati, motivati ed esigenti». In questo contesto si deve situare «la valorizzazione – nell’unico sistema scolastico nazionale – delle scuole cosiddette libere e parificate». Su questo punto esistono oggi dei gravi equivoci: «Il rischio che si corre infatti è che passi l’idea di una Chiesa che chiede privilegi per sé». In realtà, «noi vescovi – ha sottolineato con grande immediatezza e concretezza – non abbiamo un interesse partigiano su queste scuole, e neppure, quando ci capita di raccomandarle alle scelte di budget che doverosamente spettano alla politica, lo facciamo perché un solo centesimo arrivi nelle nostre casse. La Chiesa non lucra sulla scuola». E ha ricordato che, ben lungi dall’elemosinare favori, la battaglia dei cattolici mira solo a «dar compimento a quel sistema pubblico integrato che è scaturito da una legge importante approvata dal Parlamento nazionale nel marzo 2000». Bisogna avere fiducia è, dunque, il messaggio del presidente della Cei. Ed essere capaci di solidarietà. Quella solidarietà che nasce dall’autentica, reciproca comprensione. Un concetto rafforzato dal tono complessivo della prolusione di Bagnasco, un testo attraversato da un afflato colloquiale con il «mondo» e dal desiderio – se ci è concesso di leggerlo così – di non far cadere le non poche critiche avanzate alla testimonianza pubblica della Chiesa. Il cardinale le ha come riprese e soppesate, impegnandosi a mettere da parte il sovrappiù polemico per rispondere a ognuna di esse con pacata e pacifica puntualità. Fiducia e solidarietà, insomma: Perché è davvero tempo di accantonare le barriere e i pregiudizi ideologici, per costruire insieme una società diversa da quella degli sprechi e degli egoismi e soprattutto per educare dei giovani che possano degnamente abitarla.