Non è stato un colpo di scena. L’interrogatorio a Luiz Inacio Lula da Silva è stato il 'climax' della tempesta perfetta che da mesi avvolge il Brasile. Un ciclone che ha preso sempre più forza. Solo due giorni fa, l’Istituto nazionale di statistica ha lanciato l’allarme-crisi: il Pil si è ridotto del 3,8% in un anno. Il peggior risultato negli ultimi 25 anni. Meno di 24 ore dopo, la polizia federale si è presentata a casa dell’ex presidente per accompagnarlo – in modo coatto – dai giudici a deporre su un giro di mazzette all’interno del colosso energetico pubblico Petrobras. Secondo i magistrati, l’ex leader e fondatore del
Partido dos Trabalhadores (Pt) si sarebbe arricchito grazie al sistema. In sintesi, Lula è sotto indagine per corruzione. Una parola ricorrente nello scenario politico brasiliano. Il 'caso
petrolão', come viene chiamato, esploso due anni fa, ha già mietuto vittime illustri. Esattamente un anno fa, la Corte Suprema ha autorizzato le indagini su 49 esponenti dei principali partiti – al governo e all’opposizione – tra cui 22 deputati e 12 senatori in carica. Tra loro pure il presidente del Senato, Renán Calheiros, e quello della Camera, Eduardo Cunha, entrambi dell’opposizione. Quest’ultimo è stato il primo artefice dell’impeachment nei confronti della
presidenta Dilma Rousseff per irregolarità nella campagna. Gli scandali, dunque, scuotono l’intero arco parlamentare. Nessun 'arresto' ha avuto impatto simile a quello – per altro temporaneo, giusto il tempo di rendere la propria testimonianza – di Lula. Perché quest’ultimo non è solo un ex presidente: è il simbolo di un’epoca felice che il Brasile sembra inesorabilmente sul punto di lasciarsi alle spalle. Lula è
a cara, come l’ha definito Barack Obama: il volto del
Brasil do milagro. Sono trascorsi 16 anni da quando Jim O’Neil, al tempo analista di Goldman Sachs, coniò il termine Brics per definire le più ruggenti economie emergenti: Brasile, Russia, Cina, India e, in seguito, Sudafrica. In breve, Brics divenne sinonimo di boom. E la nazione latinoamericana si affermò come 'stella' del gruppo. Proprio durante i due mandati di Lula, tra il 2002 e il 2010, il Pil – complice l’elevato prezzo internazionale delle materie prime di cui il Brasile è esportatore – cresceva a un tasso medio del 4%, con punte superiori al 7. Mercati e aziende non erano i soli a festeggiare. Lula, memore del suo passato di baby lustrascarpe, operaio e sindacalista, ha investito, con lungimiranza, quote importanti di risorse in programmi sociali che hanno fatto uscire dalla miseria 40 milioni di persone. Un successo incontestabile che l’ha trasformato in 'padre nobile' della sinistra, non solo latinoamericana. A differenza di altri leader vicini – dal punto di vista spaziale e, grosso modo, politico –, il brasiliano non ha messo in discussione l’economia di mercato, bensì ne ha colmato i vuoti più macroscopici. Riscuotendo consensi trasversali fra le classi alte – mai così ricche – e quelle popolari, un po’ meno povere. Al termine del secondo mandato la sua popolarità sfiorava l’80%. La 'delfina' Rousseff ha cercato di seguirne i passi. Con risultati, però, diversi. Il crollo dei prezzi delle materie prime sta trascinando con sé le economie dei Brics. In Brasile, il problema è triplice: alla recessione si somma la feroce epidemia di zika, con un numero di contagiati tra 400mila e 1,3 milioni, e la crisi eticopolitica che si esprime negli scandali di corruzione. Il che indica, da una parte, l’esistenza di un malaffare diffuso e radicato all’interno dei partiti e delle aziende. Ma mostra pure una minor tolleranza sociale nei confronti del medesimo. Tanto che il Paese è disposto a 'mettere in discussione' – al momento Lula non è imputato – perfino i propri miti. Certo, come sostengono alcuni analisti, potrebbe trattarsi di una manovra per tagliare le gambe a un protagonista annunciato e scomodo alle prossime elezioni. In ogni caso, la voglia di trasparenza nell’opinione pubblica è forte. La politica ha l’opportunità di cogliere l’occasione per fare autocritica e pulizia al proprio interno, ridando nuovo slancio al Paese in occasione delle imminenti Olimpiadi di Rio. Il rischio, altrimenti, è che l’intero sistema sia travolto dalla tempesta perfetta.