Gran pericolo da scongiurare
domenica 11 luglio 2021

La pandemia è entrata in una nuova, ulteriore fase, densa di potenziali pericoli e di confusione. In tutto il mondo la rapida diffusione della variante Delta si sta ponendo come una grave minaccia, evidenziando la necessità fondamentale di una efficace leadership 'informata' e guidata dalle migliori evidenze scientifiche disponibili. Viceversa, alcune decisioni a livello politico stanno portando a provvedimenti dannosi in molti Paesi, come ad esempio riaperture e organizzazione di grandi eventi con raduni di persone che pongono le premesse per un prolungamento della pandemia, dovuto anche alle disuguaglianze globali nell’accesso ai vaccini anti-Covid e all’esitazione vaccinale. Tutto ciò pone inoltre le premesse per favorire l’emergere di nuove pericolose varianti, come la Lambda in Sud America e la Delta Plus in India. Il numero di persone contagiate da quest’ultima è ancora basso, tuttavia l’aggiunta della mutazione K.417.N solleva preoccupazioni sulla ridotta efficacia del vaccino. In Canada la risposta alla pandemia è stata gravemente compromessa dalla mancanza di allineamento tra scienza e scelte politiche e dallo scarso coordinamento tra i livelli federale, provinciale e municipale.

Ciò è stato alimentato da sistemi informativi carenti, protocolli obsoleti e dall’inesperienza dei responsabili, e aggravato dalla nomina o dalla sostituzione di esperti con burocrati presso agenzie chiave. Nei Paesi sudamericani anche la mancanza di leadership politica sta contribuendo alla diffusione del Covid, soprattutto in Paesi come Colombia, Brasile e Cile. In Costa Rica le unità di terapia intensiva sono state riempite all’inverosimile e il sistema sanitario rimane sotto forte stress, con i gruppi svantaggiati più vulnerabili.

In Africa la terza ondata che è iniziata ai primi di maggio sta mettendo a dura prova gli ospedali, che risultano sovraffollati in molti Paesi, come la Repubblica Democratica del Congo. In questo contesto, è però estremamente importante il fatto che i leader di Sanità pubblica abbiano promosso la diffusione di messaggi basati sulle evidenze scientifiche, che hanno avuto ampia risonanza a livello delle comunità locali. L’Australia, che aveva gestito benissimo la prima fase, si è fatta trovare scoperta dal punto di vista vaccinale per la scarsa energia posta dal Governo nel promuovere la campagna e per un elevato livello di compiacimento da parte della popolazione, illusa di aver sconfitto definitivamente il Sars-CoV-2.

In Europa, la Spagna e il Portogallo si sono fatti trovare ancora una volta scoperti, ma quello che attualmente sconcerta di più è l’atteggiamento del governo inglese, non solo per la possibilità data al virus di diffondere il contagio nel continente europeo, con decine di migliaia di persone in arrivo a Londra da tutta Europa per seguire i campionati europei di calcio, ma soprattutto per la preannunciata cessazione di ogni misura preventiva e restrittiva dal prossimo 19 luglio. Le regole saranno sostituite da decisioni personali, con la pretesa «convivenza con il coronavirus, proprio come facciamo con l’influenza stagionale », annunciata e sottolineata dal neo-nominato ministro della Salute, e già ministro dell’Economia, Javid. Peccato che il paragone non regga. Entrambi sono virus respiratori contagiosi e potenzialmente letali. Possono diffondersi attraverso aerosol, goccioline e superfici contaminate.

E condividono alcuni degli stessi sintomi sotto forma di febbre, tosse, mal di testa e affaticamento. Ma ci sono differenze eclatanti tra coronavirus e influenza che contano per la salute pubblica. Il coronavirus si diffonde più velocemente dell’influenza e può causare malattie molto più gravi. I sintomi del coronavirus possono richiedere più tempo per manifestarsi e le persone tendono a essere contagiose più a lungo. Il valore di R per l’influenza stagionale – il numero di persone a cui una persona infetta trasmette il virus – è in media di circa 1,28 mentre per la variante Delta del coronavirus, ormai in ascesa in tutto il mondo, è circa 7. Quindi in assenza di vaccini e altri interventi un singolo caso ne infetterebbe in media altri 7. Il Covid è più letale dell’influenza, in gran parte perché la vulnerabilità alla malattia aumenta nelle persone anziane. L’influenza stagionale ha ucciso 44.505 persone in Inghilterra durante le tre stagioni influenzali combinate dal 2015-16 al 2017-18. Lo stesso numero di persone è morto di Covid in Inghilterra solo nelle prime nove settimane del 2021.

Certamente il programma di vaccinazione ha ridotto sostanzialmente i decessi per Covid, in Italia meno di 20 al giorno nell’ultima settimana, ma i vaccini fanno molto di più per prevenire la morte che la trasmissione del virus, quindi si prevede che i casi di Covid aumenteranno ancora per qualche tempo. E più grande è l’epidemia, più possibilità ha il virus di trovare persone vulnerabili che non hanno ricevuto le vaccinazioni o non sono sufficientemente protette. Sebbene i vaccini indeboliscano drasticamente il legame tra casi e decessi, è improbabile che lo rompano del tutto.

Ed è soprattutto improbabile che questo possa avvenire nella prossima stagione autunnale e invernale, quando i virus respiratori trovano le condizioni ambientali ideali per diffondersi. In questo contesto, ogni anno, una rete globale di sorveglianza rileva quali varianti dell’influenza sono in circolazione e quelle che più probabilmente rappresenteranno una minaccia nella stagione successiva. Queste informazioni determinano quali ceppi entrano nei vaccini antinfluenzali annuali che vengono poi lanciati in campagne organizzate. E nonostante la macchina che protegge il mondo dall’influenza sia ben collaudata, il bilancio delle vittime del virus in un anno tipico è sempre notevole. Non esiste ancora un sistema globale del genere per il coronavirus. Anche per questo le decisioni britanniche sono state definite, con toni inusualmente duri dall’Organizzazione mondiale della sanità, «eticamente vuote ed epidemiologicamente stupide».

Il problema è che però non rimangono confinate a quel Paese. L’Italia, come la maggior parte dei Paesi membri dell’Unione Europea, continua a basare le sue decisioni sull’evidenza scientifica, ma a meno di drastici blocchi della circolazione dei cittadini provenienti da Paesi che non lo fanno rimane vulnerabile. Per questo, ora più che mai, è necessario accelerare il percorso verso un nuovo Trattato pandemico globale, che vincoli i Governi a decisioni che siano basate sull’evidenza scientifica e non sull’ideologia o sugli opportunismi politici. In sua assenza le pandemie dureranno a lungo e il prezzo da pagare sarà altissimo. Dobbiamo evitarlo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI