«L’immensa moltitudine che non ha accolto l’annuncio di Gesù Cristo non può lasciarci indifferenti», scrive Papa Francesco nella
Evangelii Gaudium. E non a caso il pontefice argentino ha scelto l’Asia - tra i continenti quello dove il cristianesimo è assolutamente minoritario - come destinazione del primo viaggio extraeuropeo davvero 'suo' (il Brasile, nel 2013, era stato già previsto dal predecessore). Da oggi Francesco è in Corea del Sud: incontrerà la Chiesa locale, tra le più vivaci del continente, ma parlerà a giovani di tutta l’Asia, molti dei quali provengono da aree dove essere cristiani significa essere discriminati, minacciati e, non di rado, in pericolo di vita. È noto che Bergoglio, giovane gesuita, volesse partire per l’Asia: nei suoi sogni c’era il Giappone di Francesco Saverio. Meno noto è che il primo dei motivi che lo spinse a entrare nella Compagnia di Gesù - com’egli ha confidato nella celebre intervista per Civiltà Cattolica - è proprio la sua tensione missionaria. Siamo quindi in presenza di un Papa autenticamente missionario, non semplicemente uno che voleva 'andare in missione' da giovane. Un Papa che ripete costantemente l’appello a una «Chiesa in uscita», che abbia il coraggio di avventurarsi nelle «periferie». Egli stesso ha dato l’esempio in prima persona, con scelte eloquenti. Basterebbe ripercorrere le sue visite in Italia. Le mete sono state tutte luoghi geograficamente marginali, anche se in alcuni casi altamente simbolici: Lampedusa, Cagliari, Assisi, Cassano all’Jonio, Campobasso, Isernia, Caserta. Lo stesso vale per l’Europa: il 21 settembre andrà in Albania, Paese dalla storia cristiana drammatica e interessantissima, ma non centrale dal punto di vista geopolitico. Ancora. Jorge Mario Bergoglio, nel presentarsi alla folla il giorno dell’elezione a Papa come uno che arriva quasi «dalla fine del mondo», citava il suo confratello Matteo Ricci, che nel XVII secolo usava la medesima espressione per indicare la Cina dov’egli operava: quella Cina che, allora come oggi, noi sentiamo come 'periferia' (tant’è che con linguaggio intriso di eurocentrismo chiamiamo ancora «Estremo Oriente») e che invece - sono i numeri a dirlo - rappresenta il cuore pulsante del mondo, il laboratorio del futuro, e non soltanto perché ci vive oltre la metà della popolazione del globo. Nel suo andare verso Oriente, Papa Bergoglio si mette idealmente sulla scia di Ricci, personaggio verso il quale nutre un’ammirazione di cui non fa mistero. Ricevendo i religiosi nel novembre scorso ebbe a dire che «dobbiamo sempre chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio. Pensiamo, ad esempio, alle intuizioni pionieristiche di Matteo Ricci che ai suoi tempi sono state lasciate cadere». È curioso osservare che proprio Ricci è all’origine (seppur indirettamente) dell’evangelizzazione della Corea: fu a partire da un suo testo - che un drappello di laici coreani riportò dalla Cina tre secoli fa - che si accese in loro l’interesse per la fede cristiana. La Corea - evangelizzata dai laici locali (e dalla quale oggi partono numerosi missionari, alla volta di 80 Paesi) - e il Giappone dove per un secolo e mezzo la fede sopravvisse in forma catacombale grazie a dei semplici battezzati (Francesco ne ha fatto cenno in più occasioni) - rappresentano quindi altrettante immagini di quella Chiesa missionaria che Bergoglio, Papa missionario, sogna e cui vuol dar forma. Giorno dopo giorno.