La strategia seguita da Mariano Rajoy, il presidente del governo che ha ricevuto in questi giorni caldi elogi da Barak Obama per la sua «guida accorta», si è basata su una lettura attenta dei caratteri specifici assunti in Spagna dalla crisi finanziaria internazionale. L’economia spagnola si era caratterizzata per un forte squilibrio a vantaggio del settore immobiliare, il che aveva creato un sistema di interrelazioni tra amministrazioni locali, imprese edili e casse di risparmio (controllate dagli enti locali) che somigliava a una catena di Sant’Antonio. Le autonomie si finanziavano con oneri di urbanizzazione colossali, provenienti da progetti di edificazione altrettanto ingenti, che sarebbero stati acquistati con il sostegno di un credito assai generoso, che finanziava gli acquisti di appartamenti fino al 120 per cento del loro valore nominale. Quando questa bolla, dopo essersi gonfiata all’inverosimile, è scoppiata, le principali Casse di risparmio si sono trovate con clienti morosi e un patrimonio edilizio invendibile, le imprese edilizie sono fallite in gran numero, le amministrazioni locali si sono viste ridurre drasticamente le entrate straordinarie. La massa principale della disoccupazione viene dall’edilizia, che solo ora comincia a dare timidissimi segni di ripresa, il che implica l’esigenza di una operazione di riconversione industriale e professionale, perché quel vecchio meccanismo non potrà mai essere rimesso in funzione.
Rajoy ha puntato sul risanamento bancario, contrattando un aiuto da parte dell’Europa, gestito con lungimiranza dalla Banca centrale europea, che ha permesso di bloccare l’effetto panico, acquisendo allo Stato il controllo delle grandi Casse di risparmio in crisi e procedendo alla fusione di quelle minori, che ora possono essere messe sul mercato una volta liberate delle passività edilizie (che tuttora rappresentano il 41 per cento degli impieghi finanziari in Spagna). L’altra operazione è stata quella di rendere appetibile la Spagna come destinazione di investimenti nei settori industriale e dei servizi, e qui si è sviluppato l’intervento sulla flessibilità del mercato del lavoro, con la riduzione delle indennità di licenziamento, che ha provocato una mezza dozzina di scioperi generali, ma che in realtà ha fatto sì che si rimettesse in moto la creazione di nuove aziende e l’afflusso di investimenti produttivi dall’estero. Il caso più evidente è il settore automobilistico, che ha visto crescere la produzione effettuata in Spagna da società che sono tutte straniere, che hanno ottenuto qui le condizioni che inutilmente chiede da tempo la Fiat in Italia. Oggi la Spagna è il secondo produttore di automobili in Europa, ha superato Francia e Italia, e il settore rappresenta il 16 per cento delle esportazioni spagnole.
Questa scelta assai contestata ha, però, consentito a Madrid di attirare investimenti stranieri anche durante la fase più acuta della crisi: nel 2012 il flusso di capitale straniero è aumentato in Spagna del 3,5 per cento, mentre nello stesso anno diminuiva addirittura del 32 per cento nell’insieme dei Paesi sviluppati. Questo significa che nel grande Paese iberico sono presenti ben 12 mila società straniere, che generano un milione e 200 mila posti di lavoro. In sostanza il successo di Rajoy è consistito nell’ispirare fiducia nella volontà del suo governo di affrontare i nodi strutturali della crisi, senza spaventarsi di fronte a opposizioni e contestazioni, nonostante gli scossoni anche robustissimi che sono venuti da una serie di scandali politici che non ha niente da invidiare a quelli che sono stati denunciati in Italia. Naturalmente i problemi di fondo dell’economia spagnola, lo squilibrio verso l’edilizia, un costo della politica considerato anche qui eccessivo, le tensioni con le regioni separatiste, restano, ma l’impressione dominante nel mondo è che a Madrid ci sia un governo in grado di fronteggiarli. E questo pesa.