venerdì 3 gennaio 2014
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Con una battuta qualcuno l’ha ribattezzata "Fiat Usa e getta", dove il riferimento agli Stati Uniti sta naturalmente per l’acquisizione dell’intera Chrysler e il "getta" sarebbe invece rivolto al nostro Paese, con il trasferimento del centro decisionale Oltreoceano e gli stabilimenti produttivi italiani destinati a una lenta eutanasia. È un destino possibile, certo. Ma niente affatto segnato e che si può scrivere in maniera assai differente.All’indomani dell’acquisizione del 100% del capitale Chrysler da parte della Fiat, infatti, emergono due considerazioni e una domanda. La prima riflessione è che il nuovo gruppo che si formerà dalla fusione delle due case automobilistiche sarà un vero competitore globale, fra i pochi a resistere alla crisi del settore. Eppure nasce dall’unione di due grandi debolezze. Da un lato la Fiat, data talmente per spacciata, nel 2005, che la "promessa sposa" General Motors la "ripudiò". Il gruppo americano preferì pagare 1,5 miliardi di dollari piuttosto che accollarsi la maggioranza della casa di Torino, come prevedeva il patto sottoscritto all’epoca da Gianni Agnelli (quella stessa Gm, per inciso, che il governo americano ha poi dovuto salvare impegnando 49 miliardi di dollari e ricavandone ora solo 39). Dall’altra parte c’era la Chrysler, tecnicamente fallita, che aveva trascinato con sé nel baratro buona parte della città di Detroit. Cosa ha permesso la rinascita di Fiat e Chrysler? Certamente la bravura manageriale di Sergio Marchionne. Ma più ancora la disponibilità di tutti gli attori a spendersi in un gioco cooperativo. Il presidente Obama, lungimirante nello scommettere sugli italiani e su un’operazione industriale prima che finanziaria; i lavoratori americani, ai quali è stato chiesto un sacrificio enorme sul piano salariale; i loro sindacati che hanno investito nell’azienda fior di denari delle pensioni; gli italiani che hanno apportato buona tecnologia e sono stati chiamati a lavorare sulle due sponde dell’Oceano.La seconda considerazione è invece che questo gioco cooperativo a livello nazionale non si è affermato. La tormentatissima vicenda delle relazioni industriali a Pomigliano, a Mirafiori e a Melfi lo testimonia. A fronte di accordi con i sindacati partecipativi Cisl, Uil, Fismic e Ugl, la Fiom-Cgil ha rifiutato per principio qualsiasi intesa pure approvata dai lavoratori. E alla reazione - spesso troppo rigida da parte dell’azienda - ha avviato centinaia di cause in tribunale dagli esiti contrastanti (fino ad arrivare a un pronunciamento contraddittorio e confuso della Corte costituzionale sulla rappresentanza sindacale). Il silenzio del leader Fiom Maurizio Landini, ancora muto a 48 ore dall’intesa, la dice lunga sull’imbarazzo di un sindacato che non riesce ad affrancarsi da una linea vetero-antagonista, buona forse per far prosperare gli avvocati ma non i lavoratori.È alla luce di queste due considerazioni, allora, che si può tentare una risposta alla domanda che tutti oggi si pongono: per l’Italia, per noi, per i nostri lavoratori, questa intesa e la prossima fusione Fiat-Chrysler saranno un bene o avvieranno il declino definitivo? Fiat manterrà l’impegno a investire negli stabilimenti italiani? La "testa pensante" del gruppo resterà qui o sarà trasferita negli Usa? L’unica risposta che ci sembra sensata è: dipende. Dipende cioè dalle nostre capacità e dalla nostra volontà di fare sistema. Dipenderà dalla capacità di integrare meglio la ricerca universitaria e quella dell’azienda; di investire sugli impianti a fronte di una migliore produttività del lavoro; di progettare nuove auto, di esplorare segmenti diversi e tecnologie "pulite", potendo contare sulla partecipazione attiva di tutti gli addetti. È in questo che l’"essere italiani" può far premio. Valorizzando il nostro sapere tecnico e il nostro gusto estetico, scrivendo - azienda e sindacati - una nuova pagina di partecipazione e cogestione. Senza più alibi, senza più pregiudizi. Per usare un termine richiamato a Capodanno tanto dal Papa quanto dal presidente della Repubblica, dipenderà insomma dal "coraggio" di ri-pensarsi insieme, parte di un gruppo globale, componenti di una squadra cooperativa.
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