giovedì 21 gennaio 2010
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In un Paese libero i partiti devono esserci sempre, diceva il grande storico liberale Edmund Burke. E in America, Paese libero per antonomasia, i partiti prosperano. Sono due, ma svolgono egregiamente il proprio compito. Che è quello di criticarsi e di sfidarsi per il potere, contrastando la tendenza all’unanimismo. Sembra banale, eppure è la chiave per trovare una lettura sensata del primo anno di Obama alla Casa Bianca, coinciso con la cocente sconfitta democratica nella corsa al seggio senatoriale che fu dei Kennedy. Il presidente giurò un anno fa sulle ali di un gradimento record. E oggi si trova a fare i conti con un crollo dei sondaggi. Doveva essere l’uomo dalla bacchetta magica per l’America e per il mondo, si sta rivelando una delusione e un fallimento, secondo l’analisi semplicistica che si è tentati di fare. Quasi che il leader degli Stati Uniti nel 2008 fosse stato eletto con il 100% dei voti e dotato di poteri speciali per fare fronte alle gravi crisi aperte. C’era sì l’ « audacia della speranza » , il « yes, we can » della travolgente campagna elettorale; mancava però il realismo di chi aveva scommesso troppo sul nuovo leader dell’iperpotenza. Incassato il colpo iniziale, i repubblicani, che non erano scomparsi sotto il peso degli errori di Bush, hanno ripreso a fare politica con i mezzi e i metodi che l’epoca offre. E così l’Obama nero ( non c’è bisogno di dirlo), « socialista » , « debole con i terroristi » , « inconcludente » , che ha evitato il crollo del sistema finanziario­creditizio ma non ha potuto impedire l’impennarsi della disoccupazione e dei fallimenti immobiliari, è tornato sulla Terra, governante come gli altri, senza la capacità di fare miracoli. Il segnale del Massachusetts va diritto al cuore dell’Amministrazione: a chi non lo amava dal primo minuto si è aggiunta una quota di insoddisfatti, che nelle elezioni di midterm a fine anno potrebbero punire la maggioranza democratica al Congresso, riconsegnandolo al Gop. Quindi, è vero, Obama ha deluso chi vedeva in lui qualcosa che non era e non poteva essere. Nodi intricati e dolorosi come quelli d’Iraq, Afghanistan, Medio Oriente non si sciolgono con un’idea meravigliosa cavata dal cilindro, che nessuno possiede; il ciclo delle economie sviluppate, capaci di bruschi stop e altrettanto veloci riprese, non è governabile nemmeno dalle stanze di Washington. Bush infatti perse per la crisi e non per le guerre; perdurando la crisi, Obama sarebbe nel mirino dei critici qualsiasi scelta avesse fatto. Diverso è dire che Obama abbia già fallito. Il valore della scommessa sull’estensione dell’assistenza sanitaria ai meno abbienti non si misura nelle urne, in un Paese nel quale molti dei beneficiari non votano, mentre chi dovrebbe pagare qualche dollaro in più è capo delle lobbies più attive e rumorose. Certo, rimangono le incognite e le riserve sui rischi che tra le maglie della legge passi anche il finanziamento pubblico all’aborto. Così sono da verificare su un periodo maggiore i tentativi di sensibilizzare l’America ( e quindi il mondo) sul tema del riscaldamento globale e l’avvio di un dialogo con il mondo musulmano, che sarà difficile e accidentato. In sostanza, il presidente risulta una delusione per coloro che in lui riponevano attese esagerate; non necessariamente costituisce un fallimento a una considerazione più realistica, al di là di simpatie o avversioni ideologiche. Il ' solido' e rispettabile veterano del Vietnam John McCain avrebbe fatto molto meglio?
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