Il silenzio più assordante della mia vita l’ho sperimentato in una stanza piena di bambini che non piangevano, non giocavano e non ridevano. È accaduto in uno sperduto ospedale nel Ciad. Erano bambini che avevano ormai oltrepassato la soglia della fame più nera. L’unica consolazione che riuscii a trarre in quel luogo senza gioia era la consapevolezza che quei bambini sarebbero sopravvissuti. Magra consolazione certo, pensando a quale genere di vita li attendeva. Nei due anni trascorsi nel ruolo di Commissaria europea per la cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi, ho visto tutti i tipi di catastrofi immaginabili, dal terremoto di Haiti alla carestia in Somalia. Vi sono tragedie cui assistiamo, seppure in maniera indiretta attraverso la televisione, e altre che rimangono celate ai nostri occhi. Di recente sono stata nel Congo orientale, dove oltre un milione di persone sono state scacciate dalle proprie case a causa della guerra, spesso più di una volta. Si tratta di persone coraggiose, che senza alcuna colpa sono state totalmente dimenticate da tutti, salvo che dai criminali che le depredano. Ma ci sono anche buone notizie. Il motivo per cui ho assistito a questi fatti e ho incontrato queste persone è la presenza sul terreno di Echo, l’Unità per gli aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione europea. Echo fu creata 20 anni fa allo scopo di salvare e proteggere vite umane senza ritrosie né scelte arbitrarie, in base al principio secondo cui gli aiuti umanitari non devono essere ostaggio di interessi politici, militari o economici, ma vanno forniti in maniera imparziale e senza discriminazioni di sorta. Così nel corso degli ultimi due decenni la Commissione europea ha destinato circa 14 miliardi di euro alle vittime di conflitti e catastrofi in oltre 140 Paesi in tutto il mondo. Solo l’anno scorso abbiamo stanziato oltre un miliardo di euro per salvare vite umane e alleviare le pene di 150 milioni di persone: un importo inferiore all’1% del bilancio totale Ue, ma che ci ha consentito di fornire cibo, acqua, rifugio e assistenza medica – oltre che speranza – a comunità devastate da guerre, catastrofi e carestie in 80 Paesi. Tuttavia le necessità di chi è in grave difficoltà e soffre crescono sempre più. L’effetto congiunto dei cambiamenti climatici, della sovrappopolazione di determinate aree e dell’incessante urbanizzazione ha reso le catastrofi più frequenti, gravi e complesse. E contemporaneamente le risorse di cui disponiamo diminuiscono, mentre il mondo si trova nel pieno di una recessione economica. Che cosa mi preoccupa maggiormente? Mi inquieta la crescente forza della catastrofi naturali, che colpiscono con maggiore durezza proprio i popoli più vulnerabili. Stiamo investendo per prevenire questi eventi e preparare meglio le comunità che vivono nelle zone più a rischio, in modo da renderle più resistenti, più capaci di sopravvivere. E stiamo investendo in maniera efficiente: ogni euro speso per la prevenzione dei disastri può infatti generare un ritorno compreso tra 4 e 7 euro. Lo stesso vale per la battaglia contro la malnutrizione: bastano 20 euro per prevenirla, mentre per curarne gli effetti ne sono necessari cento. Pensiamo a quante cose si potrebbero fare con quei restanti 80 euro per aiutare i bambini a rischio di malnutrizione, alle infinite possibilità che potremmo loro offrire se potessimo investire quel denaro in istruzione. Anche il numero dei rifugiati, in costante aumento, è fonte di preoccupazione: penso a chi è costretto a scappare attraverso le frontiere e a coloro che invece sono obbligati ad abbandonare la propria casa, il proprio Paese, senza sapere dove andare e spesso con pochissime speranze di tornare nelle loro terre d’origine. Il numero delle persone interessate l’anno scorso ha raggiunto 44 milioni e aumenta a una velocità rispetto alla quale la nostra capacità di risposta stenta a tenere il passo. È difficile avere a che fare con situazioni di emergenza e disastri umanitari, ma non mi viene in mente un esempio migliore del nostro lavoro per illustrare i valori europei comuni. In Europa molte persone si preoccupano degli altri e proprio questo interessamento mi consente di svolgere il mio lavoro. Ci preoccupiamo perché, moralmente, è la cosa giusta da fare, ma anche perché costruire un mondo più stabile è senza dubbio nel nostro interesse. Colgo quindi l’occasione di questo 20° anniversario di Echo per ringraziare tutti dell’interesse dimostrato nei confronti di chi è meno fortunato e per la possibilità di continuare a fare qualcosa per rendere il nostro mondo un posto migliore in cui vivere.