Essere in debito con i diritti umani
sabato 17 dicembre 2016

Il dramma dell’insolvenza è quello che attanaglia maggiormente il destino di molti popoli nelle periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo. D’altronde, i governi in grado di onorare regolarmente le obbligazioni assunte alle scadenze pattuite nei confronti dei creditori internazionali, si assottigliano a dismisura nella cornice della globalizzazione dei mercati. Non v’è dubbio, infatti, come scritto in più circostanze su questo giornale, che la povertà sia determinata in gran parte dall’architettura debitoria (cioè generatrice di debito) dell’economia mondiale, determinando così la crescita del cosiddetto debito aggregato nei Paesi in via di sviluppo o comunque 'a rischio'.

Tutto questo, in pratica, è sintomatico di un sistema economico-finanziario senza regole, cioè all’insegna della deregulation. A questo proposito, è stata messa a punto una strategia d’intervento davvero ambiziosa da parte di un gruppo qualificato di giuristi ed esperti di economia italiani dell’Unità di ricerca 'Giorgio La Pira’' del Cnr, del Centro di studi giuridici latinoamericani dell’Università di Roma Tor Vergata e del Centro di ricerca 'Renato Baccari' del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Bari. Essi hanno chiesto formalmente che, con il sostegno della Santa Sede e anche di governi dei Paesi coinvolti nella grave crisi economico finanziaria mondiale, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite giunga a formulare quanto prima una richiesta di parere alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja sulle regole applicabili al debito internazionale, nonché al debito pubblico e privato, al fine della rimozione delle cause delle perduranti violazioni dei princìpi generali del diritto e dei diritti dell’uomo e dei popoli, cogenti, come risultanti specialmente nella Carta di Sant’Agata de’ Goti (una dichiarazione su usura e debito internazionale del 1997) e da alcune risoluzioni dell’Assemblea generale dell’Onu.

Questo indirizzo è sempre più attuale e lo è ancora maggiormente ove si pensi alla necessità, da papa Francesco messa tante volte in evidenza, di rivedere su basi etiche il sistema della finanza globale a fronte di pericolose ideologie, che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune. A questo proposito, si è svolto ieri a Roma un Seminario di Studi, presso la biblioteca centrale del Cnr, nel corso del quale il professor Raffaele Coppola, coordinatore del gruppo di giuristi, ha illustrato gli sviluppi dell’iniziativa, largamente condivisa dal Pontificio Consiglio Iustitia et Pax e incoraggiata dalla Segreteria di Stato vaticana. Secondo Coppola – che tra l’altro ricopre l’incarico di promotore di Giustizia della Corte d’Appello dello Stato Città del Vaticano – non vi sarebbero difficoltà a ottenere una maggioranza per votare la risoluzione di richiesta per un parere consultivo della Corte di Giustizia dell’Aja.

Tale maggioranza, infatti, è stata già raggiunta, proprio in tema di debito internazionale, con la risoluzione 69/319 del 10 settembre 2015 sui cosiddetti 'fondi avvoltoio' che, com’è noto, acquisiscono crediti sovrani a prezzo stracciato con intento speculativo. Per quanto concerne l’Italia, Coppola ha sottolineato che vi è grande interesse da parte del presidente Sergio Mattarella e del neoministro per i rapporti col Parlamento, senatrice Anna Finocchiaro. Anche perché nel nostro Paese la legge del 25 luglio 2000 n. 209, all’articolo 7 – purtroppo ancora rimasto inattuato – stabilisce che il governo italiano, nell’ambito delle istituzioni competenti, proponga l’avvio delle procedure per la richiesta di parere alla Corte dell’Aja sulla coerenza tra le regole che disciplinano il debito estero dei Paesi poveri e il quadro dei princìpi generali del diritto e dei diritti dell’uomo e dei popoli. Una cosa è certa, la posta in gioco è alta, ma la sfida non può essere disattesa perché essere cristiani, come dice papa Francesco, significa stare dalla parte dei poveri.

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