Solinas
La legge di bilancio varata dal governo Meloni è stata giudicata, in generale, realistica e prudente. Non si può non convenirne, visto che è fondata sulle risorse disponibili e sull’esigenza di rispettare il vincolo di bilancio. Nelle parole del ministro dell’Economia «per ogni euro speso deve esserci la copertura di modo che per ogni euro speso ci sia un euro di maggiori entrate o di minori spese».
È una legge realistica e prudente anche perché tiene conto, implicitamente e opportunamente, della situazione di grande incertezza in cui viviamo, legata non solo alla crisi energetica ma al quadro economico complessivo. Gli interventi che prevede sono legati soprattutto all’esigenza indiscussa di contrastare in via temporanea, l’aumento della bolletta energetica e con essa il peso dell’inflazione su famiglie e imprese.
Non ci sono, come d’altro canto accade quasi sempre nelle leggi di bilancio, interventi orientati ad affrontare i problemi strutturali della nostra economia perché tali non sono quelli presi in materia di fisco e pensioni, al di là dell’ampia discussione che hanno suscitato.
Nel momento, però, in cui la ventata inflazionistica appare assai più difficile da domare, rispetto a quella che la Bce considerava «temporanea», e di fronte a uno scenario recessivo che diventa sempre più probabile, i temi – irrisolti – dell’equità e dello sviluppo mostrano ancora una volta la loro centralità e urgenza.
Vanno affrontate subito sia la questione redistributiva legata alla vicenda inflazionistica, visto che non la si può certo ritenere risolta dagli interventi in materia di bollette, sia quella del tasso di crescita che rimane il problema irrisolto della nostra economia.
L’inflazione colpisce diversamente percettori di redditi fissi e no, produttori e consumatori, debitori e creditori. Apre, di fatto un processo redistributivo in cui si trovano in vantaggio relativo quei produttori che sono in grado di scaricare sui prezzi l’aumento dei loro costi e lo Stato che vede diminuire il valore reale del suo debito e della sua spesa. Si tratta di un tema di fondo che va affrontato insieme a quello delle politiche da mettere in atto per aumentare il nostro tasso di crescita.
Per intervenire con successo occorre ristabilire un’equità distributiva che non può essere affidata solo allo strumento fiscale. Assai più conta una riallocazione di bilancio che renda accessibili ed equi per tutti i servizi pubblici, in particolare sanità, istruzione e formazione.
Occorre, per fare degli esempi, che la spesa di bilancio sia capace di ridurre le code per i servizi ospedalieri, la spesa out of pocket per le prestazioni sanitarie, faccia aumentare l’assistenza ospedaliera sul territorio, renda omogenea la qualità dei servizi scolastici prestati, diminuendo la dispersione scolastica e aumentando i percorsi formativi, facendo sì che i Neet (coloro che non studiano né lavorano) e i precettori di Reddito di cittadinanza usino il più importante ascensore sociale, quello della formazione.
Non c’è dubbio che un bilancio pubblico che ha raggiunto e superato i mille miliardi di spesa offra al governo Meloni una straordinaria opportunità, vista la forza della maggioranza di cui dispone .Si tratta di realizzare, vincendo la resistenza di lobby e gruppi di pressione, una ricomposizione della spesa a favore dei servizi pubblici essenziali, vagheggiata ma mai realizzata in passato.
Non si tratta – sia chiaro – di fare sforamenti di bilancio, ma di ridurre bonus, sprechi di spesa ed evasione fiscale che ne minano l’equilibrio e di realizzare l’equità come necessaria condizione dello sviluppo.
È questo il punto centrale perché salari stagnanti, insoddisfazione diffusa per le insufficienti opportunità di lavoro, insufficiente coesione sociale mal si coniugano con gli investimenti in innovazione di cui il Paese ha bisogno per aumentare produttività e crescita.
Circa l’innovazione non c’è bisogno di ricorrere soltanto alle sofisticate tecnologie dell’automazione e dell’intelligenza artificiale. A dispetto delle difficoltà che la crisi energetica ha creato, essa offre straordinarie opportunità d’innovazione sia in tema di efficienza che di reti di distribuzione. Basta pensare al caso del 110% nel quale avrebbe potuto avere ben diverso rilievo l’incentivo all’adozione di tecnologie innovative.
Le scelte capaci di incidere a medio termine sulla crescita dell’economia sono a questo punto legate al Pnrr e ciò gli fa assumere, se fosse possibile, un rilievo anche maggiore di quanto già non abbia. Le opportunità d’investimento offerte dal Pnrr non vanno viste in astratto ma rispetto al quadro evolutivo dell’economia cui ci troveremo di fronte. Solo così si potranno sfruttare al meglio le potenzialità che esso offre sull’aumento del tasso di crescita del Paese.
Ecco perché, se è opportuno tener conto delle aperture della Commissione Ue rispetto ai possibili aggiustamenti del Pnrr, esse vanno colte per sfruttarne al meglio le potenzialità evitando che si traducano in ritardi e/o conflitti rispetto all’obiettivo della crescita. E, soprattutto, privilegiando progetti d’investimento in cui la spesa non sia un obiettivo di per sé ma si associ ad aumenti di produttività delle infrastrutture e della capacità produttiva realizzata.
Non solo. La prospettiva pluriennale del Pnrr si associa – è importante tenerlo presente – a quella analoga presente nella proposta della Commissione Ue per le nuove regole di stabilità, che prevedono processi di riequilibrio di debito e deficit da realizzare nel tempo. Ne segue la conferma che serve un progetto che vada al di là della prospettiva annuale della legge di bilancio. Tanto più che la politica antinflazionistica portata avanti, come le compete, dalla Bce produce una spinta recessiva da tener presente. Essa si associa, per via dell’aumento dei tassi e della graduale cessione al mercato dei titoli pubblici acquistati in questi anni dalla Bce, a tensioni potenziali sul rifinanziamento del nostro debito pubblico. È di tutto questo che occorre tener conto, predisponendo un quadro di interventi pluriennali capaci di influenzare l’andamento spontaneo dell’economia che sia in grado di dare una risposta coerente, seppur implicita, alle nuove regole previste dalla Commissione di una stabilità legata a processi temporali di aggiustamento.
Economista, professore